Tre anni per uno stadio. E non per costruirlo. Tre anni, anche qualcosa meno, dal momento in cui è stato affidato il progetto a Marco Casamonti e allo studio Archea di Firenze per realizzare lo stadio nazionale di Albania a Tirana, inaugurato ieri sera con la partita tra la nazionale albanese e la Francia per le qualificazioni agli Europei. Certo, bisogna considerare che la burocrazia albanese è molto più “light” rispetto a quella italiana. Ma rimangono comunque tempi che per l’Italia sono impensabili, fuori da ogni ragione.
«Che tutto ciò – avverte Casamonti – sia di lezione e monito per l’Italia e per Firenze», dove la vicenda stadio è più lunga di una telenovela in stile Beautiful. Si fa, non si fa. Si restaura il Franchi, si fa alla Mercafir. Ma perché no a Campi Bisenzio? Domande e dubbi che i fiorentini si portano avanti da anni e che sono tornati di strettissima attualità nel momento in cui è arrivato Rocco Commisso, molto sensibile all’argomento stadio. Intanto c’è il progetto del centro sportivo a Bagno a Ripoli, affidato allo stesso Casamonti, che presumibilmente si dovrà occupare anche dell’eventuale nuova casa della Fiorentina.
«Sullo stadio alla Mercafir oggi voliamo basso – spiega Casamonti -. Avevo portato avanti un progetto di ristrutturazione del Franchi, approvato anche dalla società viola, che non è possibile però concretizzare. A Firenze sono dodici anni che si discute di stadio, da noi si discute tanto, forse in Albania si discute meno, ma si fa di più. Probabilmente il problema in Italia è che abbiamo tutto, l’Albania invece è un Paese dove c’è bisogno di fare le cose velocemente».
E così è stato. Per uno stadio, che si ispira a un teatro classico, da 22.000 posti e trecento posti auto, sorto sulle ceneri del vecchio impianto (guarda caso anche il precedente era stato costruito da un fiorentino, l’architetto Gherardo Bosio alla fine degli anni ’30), demolito e ricostruito mantenendo la storica facciata in pietra (ogni pietra è stata smontata, conservata e restaurata per poi essere nuovamente rimontata).
Per fare tutto ciò hanno lavorato nel cantiere seimila persone, una media di cinquecento al giorno con, all’inizio dei lavori, turni anche di notte. «L’idea — spiega Casamonti — era quella di rispettare una linea di congiunzione tra passato e futuro. Dobbiamo cercare di fare cose del genere anche in Italia, dove sono moltissimi gli stadi che vanno rifatti. Il mio è un monito. Qui per esempio mi hanno fatto tagliare le curve, cosa che ho cercato di eseguire anche a Firenze con il Franchi, ma non è stato possibile». Questioni di sovrintendenza.
Repubblica Firenze