Avvertenza per tutti i tifosi viola che amano le emozioni forte: date un’occhiata al calendario delle partite casalinghe della Primavera del Vicenza e magari fate un salto dalle parti di Caldogno (un nome che ricorda qualcosa…): ci potrebbero essere delle magnifiche sorprese.
In quella squadra gioca infatti Andrea Toldo, figlio diciottenne di cotanto padre, che rimane l’unico anello di congiunzione tra uno dei più grandi portieri della storia della Fiorentina e il pallone.
«Sono fuori da tutto e non guardo mai le partite. Ormai sono diventato esperto di cartoni animati per via di mia figlia Bianca, so qualsiasi cosa della Disney, anche se raramente arrivo alla fine. Il calcio? Solo per Andrea e siccome nelle gare casalinghe gioca dove abita il mio amico Roberto, che sulla vita e sul calcio la pensa più o meno come me, può darsi che un giorno lo carichi in macchina e si vada insieme a vedere la partita».
Inimmaginabile. Toldo e Baggio seduti sulle panche dello stadio di Caldogno. E com’è Andrea in campo?
«Molto più furbo di me, gioca all’attacco. Al confronto ero un gnoccolone, lui mangia il fumo alle candele».
Forziamo un po’ la sua ritrosia e le facciamo fare un giro all’indietro con la macchina del tempo. La Fiorentina non vince niente dal 2001, e in quella stagione lei era il vice capitano.
«Un successo certamente molto diverso dal trionfo del 1996, quando ci aspettarono in trentamila alle 3 di notte. Quella fu una vittoria che potrei definire della spensieratezza. Un po’ perché eravamo tutti più giovani e molto perché nel 2001 avevamo vissuto giorni molto difficili con tutti i problemi che aveva la società. E anche la mia preparazione alle due finali fu diversa rispetto a cinque anni prima».
In che senso?
«Sapevo che sarei andato via dopo otto stagioni per me bellissime e volevo lasciare la Fiorentina con una vittoria. Era un mio impegno togliermi la maglia viola tirando alzando la Coppa Italia. Preparai le gare contro il Parma con una meticolosità assoluta. Un esempio? Volli indossare gli stessi guanti che aveva Zoff nel Mondiale del 1982, non trascurai proprio niente».
Quei guanti portarono fortuna.
«Direi proprio di sì, anche se sinceramente ricordo poco dello svolgimento degli interi 180 minuti».
Nemmeno la parata strepitosa e salva-risultato a pochi minuti dalla fine che in pratica consegnò la Coppa ai viola?
«Macché, però le credo sulla parola. Non ho grande memoria e non guardo proprio i vecchi filmati che mi riguardano, preferisco così».
Più forte la squadra del 1996 o quella del 2001?
«Due situazioni molto diverse e comunque la migliore Fiorentina in cui ho giocato resta quella del primo anno di Trapattoni: Batistuta, Rui Costa, Edmundo, Oliveira, Heinrich, Cois, Torricelli, mi dica le dove eravamo deboli?».
Mettiamoci pure Toldo…
«Ok, mettiamolo. Quella squadra avrebbe meritato lo scudetto, ma erano tante le forze contrarie e ci aspettavano sempre al varco, in ogni occasione. Cecchi Gori aveva fatto veramente un grande sforzo economico per costruire una rosa del genere».
E con un tecnico carismatico in panchina.
«Sono stato fortunato: a Firenze ho incontrato grandi allenatori, a cominciare da Ranieri, che mi ha aiutato tantissimo nella crescita. Mi sarebbe piaciuto provare anche Prandelli e sarei tornato volentieri nel 2006, ma chi contava in società si oppose e non se ne fece di niente».
E se la finale di Coppa Italia dovesse essere Fiorentina-Inter?
«Farei uno strappo alla regola e come Fantozzi mi metterei davanti alla televisione con pizza e birrone ghiacciato e mi godrei lo spettacolo. Non mi chieda per chi farei eventualmente il tifo perché non ho risposte sincere. Intanto però bisogna arrivarci in finale e tutto nel calcio è maledettamente difficile». Lo scrive il Corriere Fiorentino.