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STUPIDO AMARLO, STUPIDO ODIARLO… IL PENSIERO DI DARIO “GHEBBE”

Editoriali

STUPIDO AMARLO, STUPIDO ODIARLO… IL PENSIERO DI DARIO “GHEBBE”

Dario Del Gobbo

14 Dicembre · 20:25

Aggiornamento: 14 Dicembre 2017 · 20:25

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Troppo facile spiegare perché è stupido amare Vittorio Cecchi Gori.
Ci ha trascinati a fondo, preda dei suoi deliri, delle sue disgrazie, dei suoi errori.
Ci ha traditi, ci ha uccisi. Era impazzito. Ne abbiamo fatto le spese noi tifosi.

Più complicato invece spiegare perché sia stupido odiarlo ancora oggi.

Sono passati oltre 15 anni da quell’estate sportivamente straziante.
Dalle fiaccolate. Io l’ho odiato tanto Vittorio, inutile negarlo.

Però col tempo è anche arrivato il momento di giudicare una vicenda nella sua complessità e un po’ meno “a caldo” anche se per noi fiorentini la questione è sempre più che calda.

Il fallimento della AC Fiorentina fu uno dei tanti di quelle epoche a Firenze, dove dominava un losco figuro di nome Puliga. Un magistrato che tra il 1994 e il 2002 era in servizio alla sez. fallimentare del tribunale di Firenze. Un magistrato divenuto “il re dei fallimenti pilotati” di quegli anni. In pratica le aziende in stato di insolvenza erano più facilmente fatte fallire rispetto a quanto si doveva fare secondo la legge, un sistema che permetteva al magistrato di avere in ogni situazione “un corrispettivo di ritorno” da parte di ognuno dei professionisti che il giudice regolarmente incaricava nelle procedure di fallimento. Un uomo condannato per questi fatti in via definitiva. Cercate i tanti articoli di giornale che ancora si trovano su internet.

Questo fu solo uno dei tanti motivi per la quale la AC Fiorentina non aveva alcuna speranza di salvezza, al di là delle banche colombiane.

Poi ci furono i tanti piedi pestati all’epoca da Vittorio, le vere e proprie truffe subite con le televisioni, con le pay-tv, le tante decisioni prese con fare da vero e proprio sprovveduto, purtroppo.
Vittorio era un tizio che con Moggi non sarebbe andato mai a cena. Né con Moggi, né con un designatore arbitrale. Più volentieri li avrebbe menati. Era tutto tranne che un mediatore. E questo non aiutò. Ma tutto questo a noi piaceva dannatamente, cari miei.

Vittorio ha lottato per sé stesso e per le sue proprietà con tutte le sue forze, fino a perdere il lume della ragione ed a trascinarci in un burrone.
Ma i campioni che abbiamo potuto apprezzare in quel periodo, le partite che abbiamo giocato e vinto, i trofei che abbiamo alzato e la forza che avevamo all’epoca non sono paragonabili con altri periodi storici recenti. Neanche lontanamente.

Pensate oggi al secondo portiere della nazionale (che in forma valeva quasi quanto il primo), al terzino sinistro della Germania,  alla mezza punta del Portogallo, al centravanti dell’Argentina e al secondo centravanti del Brasile. In mezzo ad altri sei o sette giocatori di altissimo livello. Noi avevamo titolari in squadra l’equivalente odierno di: Buffon (o quasi), Schmelzer, Bernardo Silva, Higuain (o Icardi) e Gabriel Jesus.

Vi rendete conto di cosa abbiamo avuto il privilegio di vedere? Di quanto eravamo coinvolti, di cosa abbiamo vissuto? Per la generazione della mia età, quelli dell’immediato post-Antognoni, cresciuti orfani di Roberto Baggio, sono stati e rimarranno anni indelebili. Cose da raccontare ai nipotini.

Come quello che si trova una moglie bellissima. Più bella di lui, molto di più. Una moglie che non lo ama e lui lo sa. Una moglie che si è voluta sposare solo per denaro e lui lo sa. Un’amante straordinaria, con un sorriso magnetico, uno sguardo che ipnotizza. E lui lo sa che quel denaro sta per finire, ma non osa confessarlo. Rimarrebbe solo. Rimarrà solo. Anziché il solito anello di diamanti in quell’ultimo Natale le regala un Ficini qualsiasi. Un pazzo che vorrebbe ricostruirlo quel sogno, che sta diventando un incubo. Ma non ne ha più i mezzi, non c’è più alcun modo. Non ci pensi mai al fatto che un giorno arriverà la fine di tutto. E non hai la forza e la lucidità di ammetterlo.

Una città tutta contro, campioni che se ne vanno, tribunali corrotti, avvocati che non si trovano più, amici che spariscono, donne che oramai ti ridono solo in faccia, azioni societarie che da oro colato diventano carta straccia… Facile dire che Vittorio era uno stronzo, troppo facile. All’epoca lo pensavamo tutti, oggi abbiamo il diritto di pensarlo ancora ma temo propria che sia arrivata l’ora della comprensione. Non dell’approvazione, quella mai! Ma comprensione. Un sentimento altissimo.

L’altro giorno Vittorio è tornato a Firenze, per un caffè. Per ricordare quei folli anni in pochi minuti. Aveva un aspetto triste. Stanco, con gli occhi quasi vitrei. Un uomo che aveva un impero e che ora non ce l’ha più, per colpe essenzialmente sue, sia chiaro. Ma non solo sue.

In tanti sui social si sono sfogati. Offendendo quei tifosi che sono andati a salutarlo, arrivando a pensare che chi si trovava in quel caffè fosse indegno di tifare Fiorentina.

Ecco, se costoro pensano davvero questo ancora oggi, è arrivato il momento che smettano di ricordarsi di  Batistuta, di Rui Costa, del Camp Nou, di Wembley, della bandierina, della schitarrata, della mitraglia. Quella era la Fiorentina di Vittorio ed è stata la più bella che io abbia visto in tutta la vita e di certo non la rinnego. Se voi dopo 15 anni ancora rinnegate quell’uomo è arrivata l’ora che coerentemente rinneghiate anche tutto quello che quell’uomo vi ha fatto vedere. Altrimenti  è troppo facile, belle gioie.

Dario “Ghebbe”

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