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Martin Jørgensen, simbolo di un’intelligenza che non c’è più
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Martin Jørgensen, simbolo di un’intelligenza che non c’è più

Matteo Fabiani

6 Ottobre · 12:35

Aggiornamento: 6 Ottobre 2016 · 12:35

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“Forse non era appariscente come altri del nostro gruppo, ma nonno Martino era fondamentale per la squadra”. Queste sono le parole di Sebastien Frey rilasciate nella giornata di ieri tramite il suo profilo Instagram. Già, oggi “nonno Martino” Jørgensen compie 41 anni, e io lo voglio omaggiare ricordando quanto di bello ha fatto con la maglia della Fiorentina. Ci sono due gol sopra a tutti che rimarranno nella nostra storia, due gol importanti, apparentemente semplici, due gol che però hanno lasciato un segno indelebile nelle menti e nei cuori di chi quei momenti li ha vissuti con le lacrime agli occhi.

 

Il primo gol che voglio ricordare è quello segnato nella penultima giornata di Serie A del campionato 2008/2009 contro il Lecce. La Fiorentina non riusciva a segnare, la porta leccese sembrava stregata, solo un miracolo poteva permettere ai viola di entrare in Champions per la seconda volta consecutiva ai danni del Milan, solo un punto bastava per ripetere la straordinaria annata precedente. Il cross arriva, Jorgensen di sinistro l’appoggia dentro. Firenze festeggia, la Fiorentina è (nuovamente) in Champions League.

 

Il secondo gol che voglio ricordare, forse il più importante della sua carriera, Jørgensen lo segna contro il Liverpool nella magica notte di Anfield. Come qualche mese prima la Fiorentina si ritrova sotto di punteggio, ma davanti stavolta non ci sono i pugliesi del Lecce bensì alcuni dei campioni più forti di sempre quali Gerrard, Carragher e el niño Torres. Il cronometro scorre veloce, la Fiorentina sembra non farcela quando Jørgensen, con l’orgoglio di chi non si arrende mai, marca il gol del pareggio, pareggio che al 90′ si trasformerà in una delle 5 vittorie più belle e magiche di una squadra italiana in Europa.

 

Con questi ricordi auguro un felice compleanne a Martin Jørgensen, il danese tutto fare simbolo di un calcio intelligente che non c’è più.

 

Matteo Fabiani

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