di Paolo Lazzari
Due mesi senza Davide Astori. Due lunghissimi mesi senza il capitano della Fiorentina. Secondi che si accavallano con la percezione che assumano le sembianze di ore, giorni, anni. E quel senso d’incredulità che, ancora oggi, avviluppa le viscere dei fiorentini e non.
Due mesi di grande tristezza, è vero. Era inevitabile. Però, due mesi che portano in grembo anche una reazione rabbiosa, con tutto quell’orgoglio sputato fuori da parte di chi è rimasto, sputato in faccia ad un fato che ha saputo prendersi gioco di tutti in un modo subdolo e beffardo, ma che non è riuscito a far morire dentro i ragazzi in maglia viola.
Perché in questi due mesi – lo si è sentito ripetere spesso – il capitano è davvero sceso in campo con i suoi compagni. E’ stato grazie a lui, dodicesimo uomo in campo, se la Fiorentina ha pescato le forze per dar voce ad una rincorsa all’Europa che, comunque vada a finire, avrà sempre dell’incredibile.
Perché in questi due mesi, questa squadra è rinata. Perché il dolore atroce del lutto si è trasformato in reazione. Perché Davide lotta ancora sul rettangolo verde, vivendo nel cuore di chi resta.