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Dott. Patrizi: “Bove può giocare in Premier, lì non c’è visita di idoneità. Il defibrillatore non dà garanzie”
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Dott. Patrizi: “Bove può giocare in Premier, lì non c’è visita di idoneità. Il defibrillatore non dà garanzie”

Redazione

13 Dicembre · 17:23

Aggiornamento: 13 Dicembre 2024 · 17:23

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"I medici sono tutti concordi che un giocatore con problemi cardiaci non debba svolgere attività sportiva intensa"

Il dottor Giampiero Patrizi, presidente della Società Italiana di Cardiologia dello Sport, ha esaminato il report della Fiorentina riguardante le condizioni di Edoardo Bove, approfondendo le diverse tipologie di defibrillatore e le possibili opzioni terapeutiche. Ecco le sue dichiarazioni rilasciate a Cronache di Spogliatoio:

“Si è parlato di defibrillatore rimovibile, questa definizione non esiste. Qualsiasi defibrillatore è rimovibile, a rischio e pericolo del paziente. L’unica differenza tra le tipologie di defibrillatori è che uno non si impianta sotto lo sterno, quindi è meno invasivo. L’altro viene utilizzato per i pazienti più anziani. Viene posto sotto la clavicola e vengono inseriti due fili elettrodo metallico dentro alle camere cardiache.

Perché in Italia non si può giocare ma in Premier sì? È una differenza giurisdizionale, non medica. I medici sono tutti concordi che un giocatore con problemi cardiaci non debba svolgere attività sportiva intensa. In Italia, però, c’è una legge emanata dopo la morte di Renato Curi nel ’77. Per cui per poter giocare a livello agonistico si deve superare una visita di idoneità. Questo all’estero non c’è. In Inghilterra non c’è un medico che redige un certificato per far giocare quell’atleta. È il professionista che si autodetermina e si assume la responsabilità di giocare nonostante il rischio elevato di ricaduta. L’atleta confida sul fatto di continuare a giocare nonostante il rischio. Il problema è che è un confidare erroneo. Perché, come la visita di idoneità, possiamo rintracciare il 90-95% di patologie potenzialmente letali. Così anche il defibrillatore non può proteggere al 100% l’atleta e non si ha la certezza assoluta che riesca a defibrillare il cuore. Questo è un concetto che deve passare.

Non c’è nessun aumento dei casi negli ultimi anni, semplicemente c’è una maggiore esposizione e attenzione mediatica. Ci sono tanti casi scientifici che dimostrano che non c’è un incremento dei casi. Anzi, da quando c’è la visita di idoneità sportiva sono diminuiti del 90%. Per ridurre ulteriormente i decessi durante l’attività sportiva deve crescere la cultura e la disponibilità di mezzi e persone. L’obiettivo è intervenire con una defibrillazione efficace nei primi 5 minuti. Basta un corso di mezza giornata.

Mi preme dire, infine, che va fatto comprendere agli atleti che si trovano ad avere un problema cardiaco che non è consigliabile continuare ad esercitare un’attività strenua. Questo perché un’attività molto intensa può accelerare la progressione della patologia. Si aumentano così le possibilità che in futuro il cuore possa defibrillare ancora”.

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