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Labaro viola: il mondo viola minuto per minuto
“Zittire i tifosi non è una buona idea se non sei un fenomeno. Storie di esultanze viola”
Rassegna Stampa

“Zittire i tifosi non è una buona idea se non sei un fenomeno. Storie di esultanze viola”

Redazione

18 Dicembre · 11:57

Aggiornamento: 18 Dicembre 2018 · 11:57

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Su Repubblica un interessantissimo articolo di Benedetto Ferrara:

Un teatro a cielo aperto. Il calcio è anche questo. Uno spettacolo intorno (quando va bene), gesti e movimenti sull’erba. Spesso automatismi memorizzati nell’hardware interiore fin da bambini, quando l’emulazione diventa una regola del corpo. Così quando commette un fallo, il giocatore spesso allarga le braccia come per dire: chi, io? Lo deve fare, quasi sempre lo fa, anche quando sa benissimo di essere colpevole. Teatro, appunto, con un palcoscenico globalizzato, con le riprese tv che ti inchiodano su ogni zolla del campo, tanto che ormai tutti si mettono la mano sulla bocca come bimbi che fanno battute sulla maestra in classe. Poi ci sono le esultanze, quelle che una ventina di anni fa irruppero nel calcio televisivo, diventando dei must del messaggio calcistico mediatico. Anche la Fiorentina ha avuto i suoi attori protagonisti, e quando Simeone ha festeggiato il gol col ditino sul naso il cervello è andato a rivangare le storie vissute in quello stadio o altrove. Gesti dedicati alla propria gente o a quella avversaria. E poi danze e rituali di condivisione. Ognuno la sua, tanto che oggi alla playstation puoi sceglierla tu cliccando sul tasto che desideri. Ronaldo e il suo salto a girare è il modello, ma dietro c’è un mondo che nasce da lontano. Ed è inevitabile che quel dito sul naso che ha scatenato mille polemiche e reazioni controverse abbia riportato a galla una vecchia foto che qui vive ancora non solo nella memoria, ma anche appesa in qualche bottega della città. Quella sera Gabriel Batistuta non zittì i suoi tifosi, e ci mancherebbe altro, ma quelli blaugrana, nel loro stadio, il Camp Nou. Quella era una Fiorentina vera e Gabriel Omar Batistuta era il suo profeta, anche se pure lui ebbe i suoi momenti difficili, senza mai perdere il controllo della situazione, però. Non è un paragone tecnico (impossibile), ma semplicemente un effetto evocativo. D’altra parte Batigol correva alla bandierina e smitragliava da bomber vero, tanto che Tevez e Pogba, vestiti in bianconero, provocarono Firenze umulando quel gesto. Arroganza, supponenza. I quattro gol viola furono la giusta punizione. Ma la verità è più terra terra, e in fondo quel gesto di Simeone attutito dall’intervento immediato del lucido capo della comunicazione e quindi dalle scuse post partita, ricorda un altro gesto e altri parti del corpo. Dal naso del cholito alle orecchie di Montolivo, quelle con le mani messe in modo come per dire: fatevi sentire adesso, dai, forza . E quella volta l’ex centrocampista della Fiorentina aveva segnato alla sua ex squadra, l’Atalanta. Era una stagione complicata, quella della salvezza all’ultimo tuffo. Il ragazzo aveva già firmato col Milan, la Fiorentina non si era voluta accordare per due lire di distanza e il legame si era rotto da un pezzo. Montolivo non era più molto amato dai fiorentini e la sua reazione fu un automatismo di quelli che ti scoppiano dentro. Errori da cui imparare, un po’ come quello di Simeone, che però non se ne sta per andare via, e c’è una bella differenza. Così come c’è una grande distanza con Adrian Mutu, uno di quelli che ha fatto innamorare Firenze. Per la sua classe, i suoi gol, e anche la sua follia, quella che nasceva da un carattere esuberante per cui non sapevi mai cosa aspettarti. E se lui si mette il dito sul naso lo fa col sorriso addosso e con l’aria spavalda di uno che Firenze chiama “il fenomeno”. E poi Mutu zittisce soprattutto le tifoserie avversarie, coi gol, con qualche gesto nobilmente provocatorio come il solito ditino sul naso, quello che a Genova (3-3) forse ricordano ancora. Ma Adrian il fenomeno era soprattutto quello dell’inchino o il fantasista goleador che si metteva in posa mentre i compagni si fingevano lustrascarpe. Servono immaginazione, personalità e, soprattutto, serve una squadra vera alle spalle. Perchè allora c’era anche il violinista Gilardino, così come era passato Luca Toni (e Fulmini), quello con la manina che girava dalle parti della tempia. Insomma, l’esultanza è una coreografia spesso minimal nata sull’onda dell’entusiasmo, dell’adrenalina, di uno stato di eccitazione. Ci sta che un attaccante butti fuori quello che ha dentro e che ha dovuto ingoiare: le cattiverie, magari anche le falsità. Solo che zittire i propri tifosi non è mai una buona idea se non sei davvero un fenomeno. Ma alla fine di tutto, su questo palcoscenico globalizzato, il gesto più bello resta quello che non ti aspetteresti mai, soprattutto da una singora elegante di una certa età seduta in tribuna d’onore. «Tiè», sussurrò Valeria Cecchi Gori accompagnando il gesto dell’ombrello dopo un gol segnato alla Lazio. Standing ovation. Cinema vero. La scuola era quella.

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