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Sopra il giorno di dolore che uno ha: Davide Astori, uno di noi
Editoriali

Sopra il giorno di dolore che uno ha: Davide Astori, uno di noi

Redazione

4 Marzo · 13:43

Aggiornamento: 4 Marzo 2020 · 13:43

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di Paolo Lazzari 

Il posto nello spogliatoio è ancora lì. La maglia numero 13 che pende dalla gruccia, accanto alle altre. I pantaloncini viola distesi, accanto ai calzettoni. I ragazzi che si vestono tutt’intorno.

Come si fa a dribblare la morte? Come si fa a fregarla? Come lo racconti, che un ragazzo poco più che trentenne manca da due anni? Non c’è modo di scansare gli inciampi disseminati con disinvoltura dal dolore. Scrivi, o ne parli, e anche se non l’avevi conosciuto di persona un pugno chiuso ti avviluppa la gola. Perché il 4 marzo 2018 è una data dolorosamente incisa nel cuore di ciascuno, fiorentino e non. Perché quello è il giorno di dolore che uno ha: una città, una squadra, una famiglia, migliaia di persone sparse per il mondo.

Due anni senza Davide, già. Forse, l’unica cosa giusta da fare, la luce in fondo a un tunnel scuro come i pensieri che ci hanno spezzato in mille porzioni diverse, quel giorno, è raccontare una storia diversa. E non per questo falsa, o facilmente retorica. Perché quello che è successo da quella maledetta mattina in poi è un flusso buono che viaggia in un unico verso e ci suggerisce speranza: Davide non se n’è mai andato davvero.

Certo, il dolore è stato così dirompente da travolgere ogni cosa. Pensi a Sportiello che ci aveva parlato la sera prima. A Saponara che, in lacrime, continua a ripetere “esci da quella stanza”. Al pianto a dirotto che riga il bel volto di Francesca e ad una bambina, Vittoria, a cui raccontare una vita veloce ma intensa, non la morte. Alle parole di Badelj che risuonano in chiesa ed in piazza, ispezionando cuori e coscienze: “Sei il compagno ed il fratello che chiunque avrebbe voluto avere”. Alla maglia ritirata. Agli applausi al minuto 13’ di ogni partita. Al saluto al capitano. Un ciclone di gesti d’affetto. Forse la cura è nascosta proprio qui: perché, sapete, solo l’amore copre il dolore. Nel caso di Davide, lo ha proprio sommerso. E quello resta lì, certo, inciso per sempre nei cuori di chi ha amato ed apprezzato quel ragazzo semplice, buono, che di mestiere faceva il capitano della Fiorentina. Ma, ci spiace per la morte, l’amore è un’altra cosa: la frega, sempre. Ti fa guardare le cose dall’alto, con un sorriso che ancora non riesce ad allargarsi, ma comunque sopra il giorno di dolore che uno ha, come cantava il Liga.

E allora, non sorprendetevi se scegliamo di non ricordare oltre l’uomo, prima ancora che il giocatore: si ricorda chi se n’è andato per sempre. Davide no: Davide non se n’è andato mai. E dal centro della difesa, oggi, il dolore non passa più.

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