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“Moggi regalò un Rolex a Ferguson per truccare la sfida Juventus-Manchester”
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“Moggi regalò un Rolex a Ferguson per truccare la sfida Juventus-Manchester”

Redazione

23 Ottobre · 11:18

Aggiornamento: 23 Ottobre 2019 · 11:18

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La notizia rimbalza dall’Inghilterra con inevitabile clamore. Si parla di calcio, di grandi club e di corruzione. Il protagonista è lui: Giuseppe «Pino» Pagliara, agente, manager e faccendiere sessantaquattrenne già coinvolto in vicende poco chiare che hanno agitato il mondo del pallone. Succede che, davanti ai giudici di Londra dove è in corso un processo per bustarelle che lo vede imputato, spunti una registrazione nella quale Pagliara tira in ballo sir Alex Ferguson, totem del football inglese  e un bottino di tutto rispetto: due Champions, tredici Premier league e coppe varie.

Secondo il Daily Telegraph, l’agente italiano ha raccontato di una combine fra Manchester e Juventus per una partita di Champions dei tempi in cui lui collaborava con Luciano Moggi. Pagliara avrebbe suggellato l’accordo ringraziando Ferguson a suo modo, con un Rolex d’oro da 35 mila euro. Naturalmente, la perplessità è quella: possibile che il grande allenatore, con un ingaggio da 9,4 milioni di euro l’anno (dato 2012), quarto tecnico più pagato di tutti i tempi, si faccia corrompere per un Rolex? Cosa c’è dietro a questa storia?

Tutto nasce da un chiesta del Telegraph  che portò alle dimissioni del CT Allardyce, da commissario tecnico della nazionale inglese. Spacciandosi per investitori asiatici, i reporter registrarono Pagliara a sua insaputa. E lui, disinvolto e senza limiti, si lasciò un po’ andare puntando il dito su Ferguson e su altri nomi famosi del calcio d’Oltremanica, Steve McClaren a Nwankwo Kanu, Harry Redknapp… «Se c’è una cosa su cui posso sempre fare affidamento è l’avidità degli allenatori — diceva in un incontro —. Pensavo che gli italiani fossero corrotti, ma qui in Inghilterra va ancora peggio. Si nasconde tutto sotto il tavolo… Non sai quanti mi chiamano dopo il trasferimento di un loro giocatore e mi chiedono: “Pino, c’è un caffè per me?”. Ho aperto tanti di quei conti correnti in Svizzera…». Verità? Millanterie?
Certo è che Pagliara non è nuovo a scandali sportivi. A Genova, per esempio, lo ricordano come l’uomo della valigetta. Era il 2005 e lui girava l’Italia trattando calciatori per conto del Venezia del dg Franco Dal Cin , allora in serie B. Quel giorno fu fermato in macchina dai carabinieri di Monza fuori degli uffici della Giochi Preziosi del patron del Genoa.

Gli trovarono 250 mila euro in contanti infilati in un sacchetto. Si parlò anche in quel caso di partita truccata, Genoa-Venezia, match decisivo per il ritorno nella massima serie della squadra della Lanterna, con quella lagunare già matematicamente retrocessa. Finì 3 a 2 per i rossoblù ma la festa durò poco. Ci furono condanne e squalifiche e il Genoa venne costretto dal giudice sportivo alla retrocessione in serie C. Per la procura ligure i 250 mila euro avuti da Enrico Preziosi erano una parte del prezzo della combine, per lui era invece la prima tranche dell’acquisto di una calciatore del Venezia, Ruben Maldonado. «L’illecito, in tutta questa storia, c’è davvero — tuonò lui respingendo l’accusa e gettando benzina sulla vicenda —. È stato quello commesso dal Torino e dal Venezia. E da otto giocatori, quattro per squadra, portieri compresi…». Faceva nomi e cognomi, diceva che gli estremi difensori erano stato certamente pagati: «Ricordo che poco prima dell’incontro i veneziani dicevano “basta tirare in porta”».

L’avvocato che lo difendeva invita alla prudenza. Come dire, le sue parole vanno prese sempre con le pinze. Perché con Pagliara non si sa mai dove si fermano i fatti e dove inizino le interpretazioni. «Con il calcio ho comunque chiuso — concludeva con toni definitivi in un’intervista dell’epoca —. Questi cinque anni di squalifica mi costeranno il patentino di agente Fifa». Per Pagliara l’Italia era diventata un terreno minato. Meglio l’Inghilterra: «Li ero un manager stimato. Ho curato i trasferimenti di Ravanelli, Maccaroni, Juninho, Boksic, Branca, Kanu…». Tornò dunque da quelle parti e ripartì dal suo lavoro: trattare, tramare, ringraziare.
Fino a che, un bel giorno, pensando forse di chiudere un affare con un investitore orientale, ha osato troppo. E ha toccato il mostro sacro, sir Alex, scatenando il finimondo nell’isola della Regina. Diventata, di colpo, ostile.

Corriere.it

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