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La Uefa punisce chi sbaglia nel Fair Play Finanziario. Rischia la Juventus per plusvalenze fittizie di Cerri, Sturaro e non solo
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La Uefa punisce chi sbaglia nel Fair Play Finanziario. Rischia la Juventus per plusvalenze fittizie di Cerri, Sturaro e non solo

Redazione

17 Febbraio · 17:53

Aggiornamento: 17 Febbraio 2020 · 17:56

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Il regolamento del fair play finanziario è in continua evoluzione e, un po’ come il paniere dell’Istat, si adegua alle consuetudini del momento. Dopo le sponsorizzazioni gonfiate, che hanno portato alla stangata del Manchester City, ora l’Uefa ha messo nel mirino le plusvalenze, specie quelle fittizie o, per usare un eufemismo, non proprio in linea con i valori di mercato.

Il trading dei giocatori, per la verità, è connaturato all’attività stessa dei club di calcio. Gli atleti sono allo stesso tempo forza lavoro e asset patrimoniale, la cui compravendita determina spostamenti economico-finanziari spesso decisivi nella gestione di una società. La loro cessione, quando crea una plusvalenza, cioè viene realizzata a un prezzo superiore al costo residuo (il prezzo d’acquisto, detratti gli ammortamenti), fa emergere entrate contabili che non sono solo un toccasana per i bilanci ma anche preziose, a volte fondamentali, per rientrare nei parametri del fair play.

Questo perché, così come i diritti tv o la biglietteria, sono giustamente considerate “entrate rilevanti” ai fini del calcolo del break even (pareggio d’esercizio): ogni squadra partecipante alle coppe europee e monitorata da Nyon deve registrare una perdita massima aggregata di 30 milioni nell’arco del triennio e, se non riesce a far quadrare i conti con le entrate caratteristiche, le operazioni “straordinarie” di calciomercato possono venirle in soccorso.

Il problema è che negli ultimi anni il ricorso sfrenato alle plusvalenze ha assunto i caratteri di un fenomeno non più fisiologico ma patologico. Ecco spiegata l’allerta dell’Uefa. Il Club Licensing Committee, la commissione incaricata di suggerire modifiche alle licenze europee e al regolamento del fair play presieduta dal vice presidente Uefa Michele Uva, ha già iniziato a studiare il sistema delle plusvalenze e presto valuterà una serie di meccanismi correttivi da varare nel prossimo autunno.

Se per i contratti commerciali con le parti correlate si misura il “fair value” in base ai valori del mercato di riferimento, è molto più complicato stabilire se una plusvalenza è fittizia, considerata l’aleatorietà dei prezzi dei “cartellini” dei calciatori. Ma qualcosa l’Uefa farà per evitare ricorsi eccessivi alle plusvalenze: ovviamente non potrà essere posto un limite alle plusvalenze stesse ma alla loro classificazione come “entrate rilevanti” in ottica del fair play, compiendo un intervento chirurgico in modo tale da cogliere le differenze tra le operazioni sane e quelle più o meno artificiali.

La crescita dei volumi del trading si è riscontrata in tutta Europa, come testimonia l’impennata delle entrate nette da trasferimento per i club delle massime divisioni: dai 2 miliardi del 2014 ai 5 miliardi del 2018. E anche se il saldo netto contabile delle compravendite è positivo, il contestuale aumento dei costi del trading (passati nello stesso periodo da 2,8 a 4,6 miliardi) non può lasciare tranquilli.

Perché?

Se un giocatore viene sopravvalutato la società cedente ha un beneficio immediato con la plusvalenza ma quella acquirente appesantisce la gestione sotto forma di ammortamenti. Ragionando in termini di sistema, più operazioni gonfiate (se non fittizie, di sicuro figlie di un’inflazione dei prezzi) creano nel medio-lungo termine costi insostenibili.

Anche e soprattutto in Italia si sta assistendo a un ricorso eccessivo alle plusvalenze: una specie di déjà vu dopo la bolla a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila. Un’inchiesta della Gazzetta ha rivelato come tra il 2013-14 e il 2017-18 i club di Serie A abbiano accumulato 2.673 milioni di plusvalenze da cessione calciatori, arrivate a pesare un quarto del fatturato lordo della A.

Nello stesso arco di tempo solo la Premier League ha registrato lo stesso livello (2.686 milioni) ma con un giro d’affari quasi triplo della Serie A, mentre hanno fatto molto di meno la Bundesliga (2.161 milioni) e la Liga (1.815). Anche dopo l’abolizione delle comproprietà, estinte nel 2015, le squadre italiane hanno continuato a scambiarsi giocatori come figurine dai valori arbitrari. Basti pensare al procedimento contro Chievo e Cesena. Il nodo è quello degli scambi con iper-valutazioni senza un reale passaggio di denaro, peraltro favoriti dalla stanza di compensazione della Lega che da un lato fa da garante alle compravendite tra società di A ma dall’altro minimizza il passaggio di denaro. Tra i grandi club, in termini assoluti, i maggiori incassi degli ultimi anni sono stati realizzati da Roma e Juventus.

Nel 2018-19 i giallorossi hanno registrato 130 milioni di plusvalenze, rinunciando ai vari Alisson, Manolas, Pellegrini, Strootman; i bianconeri 127 milioni, raggranellati senza sacrificare top player ma con pedine come Spinazzola, Caldara, Audero, Mandragora, Sturaro, Orsolini, Cerri. La corsa alla vendita negli ultimi giorni disponibili per la registrazione a bilancio (chiusura al 30 giugno) è diventata un must per molti, anche per rispettare la fatidica regola del “break even” del fair play Uefa.

Ne sa qualcosa pure l’Inter, avvezza ormai a micro-cessioni di ragazzi del vivaio per raggiungere la fatidica somma: 40 milioni nel 2018-19 con Pinamonti, Vanheusden, Adorante, Sala, Zappa e altri. Le esigenze sono le più disparate: fare cassa per risolvere tensioni finanziarie, rientrare nei parametri regolamentari. In questo grande business dei trasferimenti è difficile districarsi e discernere tra plusvalenze reali e fittizie. Proverà a farlo l’Uefa.

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