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Brovarone: “Quella volta che Baggio mi lanciò la sua maglia…”
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Brovarone: “Quella volta che Baggio mi lanciò la sua maglia…”

Redazione

5 Novembre · 19:28

Aggiornamento: 5 Novembre 2016 · 19:28

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Bernardo Brovarone parla oggi di un suo intenso ricordo legato a Roberto Baggio. Ecco, di seguito, il suo intervento sul sito BernardoBrovarone.it:

Ho stampato ancora oggi nella mente lo sguardo attonito e pure incazzato del Capitano Granatino che mi ricevette nel suo ufficio della mitica caserma Passalacqua di Novara, dove mi recai una mattina umida e nebbiosa alla ricerca disperata di una licenza di 36 ore che mi potesse consentire di raggiungere gli amici di curva all’Arena Garibaldi di Pisa per un Pisa-Fiorentina di campionato. Non la volevo perdere, era l’unico derby toscano veramente sentito per noi, sapevo di avere pochissime chances, ero già andato a casa pochi giorni prima, avevo pure incarichi di fureria importanti, ma bussai a quella porta e mi sedetti ugualmente e sfacciatamente davanti a lui. Lo facevo praticamente tutti i giorni, era la prassi quotidiana di noi furieri, si dovevano stipulare i servizi della compagnia, e già questo mi metteva l’ansia, ero morto in partenza. Ma quando era in vena buona il buon Salvatore poteva regalare gioie vere, e io da vero figlio di buona donna giocavo tutto su quel fattore, chissà che stamani… Mi presi le solite offese in siciliano marcato per cinque minuti, abbassavo lo sguardo cercando di impietosire il capitano, solite promesse e giuramenti che mai più sarebbe accaduto, e uscii dal suo studio con il foglietto magico in mano, ero ufficialmente autorizzato alla libera uscita fino alla domenica sera, rientro ore 23 in caserma. Quella doccia non la scorderò mai, fu la più bella.

Presi la mia vecchia storica Polo bianca nel parcheggio antistante la Passalacqua e affrontai il mio viaggetto libero e bello, leggero e contento, ero felice come un bambino. Pisa fu letteralmente invasa dai tifosi viola, migliaia e migliaia, come sempre del resto, ma per me quel giorno aveva e avrebbe avuto un significato diverso, non lo sapevo ancora cosa mi aspettava, ma già essere lì con loro era l’apoteosi. Ancora oggi non ricordo perché, ma vidi il primo tempo appoggiato a una balaustra a centro curva lontano dai miei amici, da solo, accanto a I’ Biondo, un vecchio amico di curva, che proprio di recente ho visto scaricare materiale da un furgone a Firenze e mi ha fatto ricordare quel pomeriggio incredibile. Il campo era molto pesante, c’erano pozze di fango ovunque, era battaglia vera. La Fiorentina perdeva 1-0, mancava poco alla fine del primo tempo, mi scappava la pipì da morire, e decisi visto la bolgia tremenda che c’era di scendere giù in anticipo e guardarmi gli ultimi minuti attaccato alle inferriate di bordo campo per poi volare al bagno evitando la calca e il caos dell’intervallo. L’arbitro ci fischia una punizione alla destra della nostra curva, sotto di noi, posizione defilata ma pericolosa. Roberto Baggio calcia d’interno al giro sul primo palo, il portiere devia, ma l’arbitro concede il gol alla Fiorentina, la palla evidentemente era entrata. Esplode tutto, apoteosi viola. Roberto scavalca i cartelloni pubblicitari togliendosi la maglia della Crodino bianca tutta piena di fango per una “boccata” battuta a metà campo poco prima, si avvicina al bordo campo e la lancia verso di noi, ma forse è meglio dire verso di me. Dovetti soltanto alzare il braccio per afferrarla, la presi io davvero, un pischello di 19 anni e 50 kg di ossa, che mescolato a migliaia di tifosi della Fiorentina, si impadronisce della maglia di Roberto, fra l’altro a primo tempo ancora da terminare. Un film.

Ricordo ancora quelle porte di ferro grigio completamente scrostate, devastate, finite, dei bagni dell’Arena Garibaldi, fuggii lì dentro, sembravo Ben Johnson alle Olimpiadi tutto bombato. Mi tolsi il bomber blu, la felpa sotto, misi la maglia di Roberto a pelle, felpa sopra, e bomber a chiudere, feci la pisciata del secolo, e uscii come un re dal gabinetto. Fuori c’erano tutti i miei amici che avevano visto la scena dalla curva e mi urlavano di tutto, non ci credevano, eravamo bambini praticamente, non si può descrivere cosa si prova in quei momenti. Poi senza nulla togliere agli altri, non è che fosse la maglia di Faccenda o Nappi. Non capivo più niente, non sapevo se prendere la macchina e tornare a Novara subito o guardarmi pure il secondo tempo, ero in shock pieno. Decisi di restare, si perse 2-1, e uscendo dallo stadio in mezzo al corteo, un vecchio Ultras che conoscevo di vista e che mi aveva sempre fatto una paura tremenda mi disse: “La voglio io quella maglia, dammela a me”. Raccontarla oggi mi fa veramente effetto, perché sia lui che la persona che prese le mie difese e che era comunque un personaggio influente in curva, non ci sono più, uno ci ha lasciato tanti anni fa per problemi di droga e l’altro ci ha lasciato di recente per una maledetta malattia. Fatto sta che riuscii a montare sano e salvo sulla mia Polo, e prendere la strada del ritorno verso Novara. Il primo autogrill fu il luogo dove mi tolsi di nuovo tutto di dosso, mi rimisi felpa e bomber, tenendo stretta fra le mani mentre guidavo la maglia di Roberto.

Arrivai in caserma e naturalmente in camerata fu festa, eravamo pure tanti fiorentini in quello scaglione, serata che non scorderò mai ma che è molto meglio per tutti non raccontare, diciamo che festeggiammo a dovere. Ricordo che nei giorni seguenti un amico, un commilitone, fiorentino fra l’altro, e pure arbitro, certo La Pace e non ricordo il nome, che magari leggerà pure questo racconto, magari dico io, mi chiese la maglia in prestito per un match che doveva giocare fra amici lì a Novara. Era un ragazzo d’oro, e non mi feci mezzo problema a dargliela, salvo raccomandarmi di non lavarla dopo l’uso, le tre strisciate di mota dovevano restare intatte, la volevo nature…e così andò.

Una mattina preparo il borsone classico da portare a casa alla mamma per lavare tutta la mia roba, e decido visto che andavo in treno e non in auto a Firenze, di mettere la maglia di Roberto come primo oggetto appena aperta la cerniera, qualsiasi cosa fosse accaduta la volevo a portata di mano, non ero tranquillo. Era un borsone rosso gigante, da barca, un cubo enorme, che appoggio nello scaffale alto dello scompartimento del Milano-Firenze in partenza da Milano Centrale. Il treno è praticamente vuoto, insieme a me una sola persona, angolo finestrino, un uomo di età avanzata, molto cordiale e pure elegante. Non lo cago neanche di striscio, leggo la mia Gazza, i miei giornali, mi rilasso, ogni tanto una parola ma nulla più. A un certo punto ho un gran bisogno di andare in bagno, e non era la solita pipì di Pisa, era più “profonda” la necessità. Prendo un giornale e mi reco in bagno, tranquillo, sereno, pure felice per i minuti distensivi e liberatori che mi attendevano. Era così calda quella tazza sotto le mie mele, stavo come un re in quel bagnetto. Il treno si ferma, neanche sapevo il perché, io resto seduto leggendo, e dopo alcuni minuti a treno ripartito mi alzo per tornare al mio posto. Apro la porta del bagno e praticamente mi trovo davanti una folla impressionante di persone, neanche ci passo dal corridoio, tanto è il caos e la sorpresa che neppure mi ricordo più da quale lato del treno venivo. Panico! La faccio breve, avevamo fatto sosta a Bologna, era salito un esercito di gente, e il sottoscritto si è fatto tutta la tratta Bologna-Firenze in su e giù alla ricerca dello scompartimento, della valigia, e di quel benedetto signore elegante e silenzioso che mi faceva compagnia. Il vuoto più assoluto, non c’era più niente e nessuno, ero rimasto soltanto io, disperato, incredulo, inferocito, scendo a Firenze e mi reco alla Polfer a comunicare il tutto, denunciando il fatto. Mi sono sorbito pure altre due ore e mezzo circa seduto dentro i loro uffici, attendendo l’arrivo del treno a Roma, dove i poliziotti locali avvisati da Firenze avrebbero cercato l’uomo con la valigia rossa. La telefonata ultima arrivò da Roma, non esiste traccia della persona e della sua valigia, se dovessimo rintracciare qualcuno o qualcosa la chiameremo noi a casa, di più non possiamo fare. Non ho mai più ricevuto e sentito niente e nessuno, pagherei quello che non ho per riavere quella maglia, ma a dire il vero un ultimo tentativo lo feci, insieme al mio amico Waska, compagno di curva e di vita, un omone di 1.92 come me che mi accompagnò ai campini da Roberto a parlare con lui e cercare di intenerirlo, sensibilizzarlo, volevo di nuovo una sua maglia. La scena era davvero fantozziana, due stanghe di uomini ai lati, con un nanetto nel mezzo vestito di viola, che camminavano sotto la curva Ferrovia rientrando verso il Franchi, sembrava quasi che lo volessimo rapire, era coperto dai nostri corpi e dal nostro calore. “Roberto sono il ragazzo a cui hai lanciato la maglia a Pisa, me l’hanno rubata, dammi le mutande, dammi la canottiera, dammi icche’ tu voi ma dammi qualcosa sono disperato”. La risposta del ragazzo fu la seguente: “Sai quanto mi è costata la “tua” maglia? Cinquecentomila lire…ecco quanto mi è costata!”. Rimasi di sasso, ma come di fronte a un pischello che ti racconta la sua disperazione, tu miliardario e campione mi rispondi così? Ricordo il mio scoramento, ma pure il mio sdegno, non mi piacque proprio, rimasi veramente deluso, lo lasciai entrare al Franchi per farsi la sua doccia e me ne andai con lo Waska a testa china e pure incazzata.

Ancora oggi spero che quel signore possa leggere queste righe, magari chiamarmi, rintracciarmi, restituirmi quel pezzo di stoffa bianco pieno di fango che per qualche giorno ho amato più di ogni altra cosa posseduta in vita mia.

www.bernardobrovarone.it

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