Come scrive La Gazzetta dello Sport, Paul Pogba ha tempo fino alla mezzanotte di oggi per chiedere le controanalisi sul campione B della sua urina in cui sono state riscontrate tracce di testosterone nel primo esame compiuto dal laboratorio antidoping di Roma. Nessuno immagina ribaltoni clamorosi del primo verdetto di “non negatività”, la casistica ci dice che è un’eventualità al limite dell’impossibile. Il numero 10 francese della Juventus e il suo entourage potrebbero decidere di rinunciare. Senza esagerarne il significato, il gesto di Paul sarebbe anche un attestato di considerazione verso il sistema e il suo funzionamento.
Dopo l’esito delle controanalisi si aprirà il fronte giudiziario-sportivo. Che cosa farà Pogba? Una telegrafica ammissione di colpa condita dalla decisiva sottolineatura della “non intenzionalità”? Proporrà un patteggiamento? O sceglierà la battaglia legale in Italia e al Tas? Il calciatore sarà presto interrogato e a quel punto si capirà meglio la sua linea difensiva. I rischi sono noti: la violazione significa una pena di 4 anni. Se tu dimostri che l’assunzione non era intenzionale, puoi partire da 2. Inoltre, diciamoci la verità, le pene per i calciatori, anche in tema di doping, non sono state negli anni particolarmente severe. C’è sempre qualche attenuante a portata di mano. Ma andare in fondo, cioè contare solo sui precedenti, esporrebbe il francese a diversi rischi. Il testosterone non è il clostebol metabolita, dove c’è stata in diverse occasioni la giustificazione della pomata cicatrizzante. Se le prime ammissioni interne (il confronto con la Juventus) fossero confermate, cadrebbe anche la tesi dell’integratore contaminato. Per questo, la difesa potrebbe provare una strada negoziale.
Proviamo dunque a decifrare gli scenari possibili. L’inchiesta della procura fotografa il doping e Pogba si ritrova a fare i conti con un deferimento che gli dice: hai violato il codice intenzionalmente per questo, questo e quest’altro, noi ti vogliamo squalificare per quattro anni. A quel punto, il campione del mondo potrebbe rifugiarsi nella norma sulla “tempestiva ammissione” e “accettazione della sanzione”. Basterebbe che dicesse “sì, l’ho fatto”, e ci sarebbe una riduzione di un anno. Però diventerebbero tre di squalifica. Perché la norma scatta solo in caso di una richiesta di sanzioni dai 4 anni in su. Per Pogba, a 30 anni e mezzo, tre anni di stop sarebbero probabilmente fatali per il prosieguo della carriera.
Altro discorso è “l’accordo per la definizione del caso”, di fatto un patteggiamento. In questo caso, l’iniziativa deve partire sempre dall’atleta, la strada sarebbe diversa perché non basterebbe una semplice ammissione. “In tale istanza devono essere indicati espressamente, in maniera accurata e veritiera – si dice nelle Norme Sportive Antidoping – gli elementi di fatto alla base della violazione, non limitandosi a una mera ammissione di responsabilità”. A quel punto il pallino passerebbe a procura nazionale antidoping e Wada. Anche in quel caso, però, da quale soglia comincerebbe la “trattativa”? Lo sconto di pena non potrebbe essere superiore al 50 per cento della proposta di squalifica formulata dalla procura antidoping. Ma partendo dai due anni, il dimezzamento porterebbe a un solo anno di squalifica. Il problema è che Pogba dovrà convincere il procuratore antidoping Pierfilippo Laviani della «non intenzionalità». E non è un passaggio scontato.
Nel caso di scontro legale, la partita si giocherebbe su diversi campi. Quello della giustizia sportiva italiana, il Tribunale Nazionale Antidoping, o la sfera internazionale. Cioè il Tas (Tribunale Arbitrale dello Sport), in sede di appello. Al Tas, in teoria, qualora Nado Italia e Wada fossero d’accordo, Pogba potrebbe andarci subito in un’udienza unica prevista dalle procedure. Ma al di là di dove si giocherà la partita, resta il come si giocherà. Cioè, quale sarà la difesa di Pogba?
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