Comincio quest’articolo dicendo a chiare lettere che il suo contenuto non è minimamente inficiato dal risultato di ieri; una sconfitta a Torino con questa Juventus era assolutamente preventivabile e giustificabile, e temevo anzi un passivo più rotondo. Il mio giudizio generale sulla Fiorentina risiede invece su di una analisi pluriennale, che tira in ballo l’eredità lasciata da Montella alla sua partenza da Firenze. Una squadra che l’anno scorso ha stupito tutta Italia nella prima parte di stagione, anche a dispetto delle incognite che già aleggiavano sulla rosa e sui nomi che la componevano. L’esplosione di Kalinic, le sicurezze di Astori e Rodriguez, la qualità di Ilicic e una forma smagliante avevano fatto arrivare la Fiorentina ad un passo dal titolo di campione d’inverno, complice un Sousa che aveva impressionato benissimo nei suoi primi mesi da allenatore in Italia. Poi il crollo nella seconda parte di stagione, un calo atletico e mentale senza precedenti, una serie di prestazioni opache e ingiustificabili, che il tecnico senza troppi problemi ha fatto ricondurre ad un mercato invernale ampiamente insufficiente, e incapace di dare le garanzie richieste per offrire quantomeno una continuità con i primi mesi. Una parentesi che non sono stato capace di digerire, specialmente se ad essa sommiamo la gestione totalmente sconclusionata di Giuseppe Rossi, passato in pochi mesi dall’essere elemento di punta a riserva di cui disfarsi, mandandolo in prestito ad una squadra ultima in classifica del campionato spagnolo. Una seconda parte di campionato che ha fatto precipitare le azioni di tutto l’ambiente, ma che al tempo stesso non ha indotto la dirigenza ad interrogarsi profondamente da un lato sui propri errori, dall’altro, soprattutto, sull’opportunità di continuare a puntare su questo allenatore e questa squadra, confermata sostanzialmente per intero, tralasciando un Pradè ormai in rotta di collisione con la società. La vulgata comune tra i tifosi e gli addetti ai lavori tende a promuovere il lavoro compiuto dalla squadra lo scorso anno, imputando ad un mercato abulico in fase di riparazione il calo drastico subito lo scorso anno. Parzialmente è una analisi condivisibile, ma non tiene conto dell’assoluto e ingiustificabile lassismo psicologico del mister nei confronti dei propri giocatori, che altro non ha fatto se non fornire da un lato alibi a dei giocatori che non sentivano più di avere tutte le carte in regola per continuare a lottare come prima, dall’altro ha creato malumori anche palesi, che hanno fatto sì che rimanesse in squadra un alone di incompiutezza malsano, per altro non allineato ad un sacro fuoco contiano o mourinhiano foriero di volontà di riscatto o di rivalsa. E’ proprio l’atteggiamento del mister ad infastidirmi spesso, un atteggiamento incapace di fornire rabbia, attributi, spesso seduto sugli allori della deresponsabilizzazione, un comportamento piuttosto manciniano, un po’ da primadonna, che non aiuta certo i giocatori a prepararsi con il sangue negli occhi per la stagione ventura. Quasi un’accademia, in cui se non arrivano le prime scelte o tutti i giocatori desiderati, la squadra e il suo mister possono sentirsi dispensati dal lavorare e dal lottare comunque con tutte le proprie forze e senza giustificazionismi, con buona pace dei sonanti milioni incassati. Per tutta l’estate, anzi, resta la sensazione latente di una squadra e di una società in ritiro (in tutti i sensi), che ha già sapientemente messo i remi in barca per quel che riguarda ambizioni e volontà di investimento. Lo stesso ritorno di Corvino va letto in tal senso, il ritorno di un diesse caro alla piazza, abile ad arrabattarsi tra scarsità di risorse e necessità di scoprire giovani o giovanissimi talenti. Per tutta l’estate le scorie dello scorso anno non sembrano essere state smaltite, e la volontà di confermare l’impianto di squadra ereditato dallo scorso anno sembra parecchio azzardata. Una formazione che, senza troppi problemi, posso definire pure sopravvalutata, e a mio avviso nettamente inferiore ai nastri di partenza a possibili avversarie quali Roma, Napoli o Inter.
Stendiamo un velo poi su di una campagna acquisti estiva che definire un’incognita è essere buoni, con giocatori giovanissimi spesso nemmeno aggregabili alla prima squadra e un De Maio che non sembra certo alzare a livelli considerevoli l’asticella del livello difensivo. Non parliamo neanche della gestione di giovani come Capezzi (ceduto per di più a prezzo di realizzo), Lezzerini (davvero Tatarusanu è meglio di lui?) o Bittante, ingiustificabile proprio perché una squadra che vuole puntare sui giovani e non valorizza tutti quelli prodotti a casa proprio preferendo talenti esteri di livello sconosciuto, tradisce in primis quello che dovrebbe essere il proprio progetto. Una squadra che in generale parte avendo come obiettivo non più di un quinto sesto posto se tutto va bene, con un Milan, una Lazio, un Sassuolo e un Torino pure capaci di insidiarlo, e che spera in tragedie sportive altrui per poter lottare per un piazzamento Champions che ad oggi, secondo me, è assolutamente fuor portata. La sconfitta di ieri è totalmente accettabile, ma i miei timori per il campionato iniziato ieri sono purtroppo a lunga scadenza, e penso che senza degli improbabili innesti di valore la Fiorentina rischi di emulare quei campionati incolori dell’era post-prandelliana e pre-montelliana. Due fantasmi che spero di non dover rivedere…
Alessandro Catto