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Rottura tra l’Italia e Mancini. Potrebbe dire subito addio, caos nello spogliatoio. Torna Conte?

Rassegna Stampa

Rottura tra l’Italia e Mancini. Potrebbe dire subito addio, caos nello spogliatoio. Torna Conte?

Redazione

29 Marzo · 10:27

Aggiornamento: 29 Marzo 2023 · 10:31

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L’idillio tra Roberto Mancini e la Nazionale, incrinato ma non spezzato dalla mancata qualificazione al Mondiale, stavolta è finito sul serio. È successo alla periferia del calcio d’Europa, sulla collina dello stadio maltese di Ta’ Qali, tra cacciatori d’autografi e di selfie purchessia: a fine partita qualche tifoso ha addirittura creduto di scorgere Chiesa, il vero grande e decisivo assente, tra gli azzurri che uscivano in fila per salire sul pullman diretto all’aeroporto e tornare a casa, dove li attendono campionati e coppe. Il ct aveva appena finito di analizzare una vittoria per lui simile a una sconfitta, censurando per la prima volta in modo esplicito il comportamento della squadra.

L’ aveva sempre difesa anche troppo, assolvendola dall’accusa non immotivata di non avere tenuto nella dovuta considerazione la maglia azzurra, dopo la conquista del titolo europeo, fino a essere scivolata fuori dal Mondiale per una ragione evidente: dal settembre 2021 al marzo 2022, il mese del fatale spareggio con la Macedonia del nord, per la maggioranza dei convocati distratti molte cose sono venute sempre prima della Nazionale. Soprattutto, sono venuti prima gli impegni con i club datori di lavoro, che hanno continuato (e continuano) a esercitare pressione sui convocati di Mancini.

I presidenti e direttori sportivi non volevano che i loro stipendiati mettessero a rischio muscoli, caviglie e ginocchia nelle qualificazioni al Mondiale, che conta solo quando si gioca. È andata a finire come si sa, con l’Italia che non è partita per il Qatar. Ma la storia non ha insegnato niente. Così, tra una svogliatezza e l’altra, le qualificazioni all’Europeo sono cominciate maluccio, con la sconfitta contro l’Inghilterra e più ancora con l’insulso 2-0 di Malta.

E Mancini, che alle figuracce non è mai stato abituato né da calciatore né da allenatore, ha infine preso le distanze dai suoi giocatori. Li aveva sempre protetti, confidando nel loro senso di responsabilità. A Ta’ Qali li ha inchiodati. La sua analisi tecnica della partita è diventata una critica spietata alla squadra, che nel secondo tempo si è accontentata di congelare il risultato contro un’avversaria piccola e per giunta indebolita dalla scelta di Teddy Teuma, il suo calciatore più forte – tutto il mondo è tristemente Paese – di preservarsi per l’Europa League con l’Union Saint-Gilloise.

A deludere il ct sono stati i più giovani, quelli che avrebbero dovuto approfittare della vetrina e invece si sono seduti sul precoce 2-0 del primo tempo. L’elogio stesso dell’oriundo Retegui – 2 gol nella sua prima partita e mezzo in una Nazionale e in un calcio che non conosceva – è diventato una stilettata ai suoi compagni italiani, che si accontentano e non hanno più fame sportiva.

Mancini ha anticipato che cercherà di ingaggiare altri oriundi, “perché una volta avevamo grandi giocatori e adesso sono diminuiti”: altra stilettata. E ha spiegato che, se necessario, pescherà in serie B. L’atto di sfiducia è chiaro e segna una svolta nel rapporto tra Mancini, lo stratega dell’Europeo, e la Figc, che ne ha fatto il proprio emblema. Il contratto è ancora lungo: l’orizzonte, come il ct stesso ha ribadito anche nelle scorse ore, resta il Mondiale 2026. Però il passaggio della carriera non è banale per un tecnico ambizioso, che il prossimo novembre avrà 59 anni e che certo non vuole vivere da comprimario una fase in cui potrebbe allenare un grande club.

Ce ne sono di ricchi e ambiziosi, come il Psg e il Tottenham, che potrebbero puntare su di lui, se ne avvertissero la perdita di stimoli per un ruolo che in questo momento gli sta stretto. Immaginare la staffetta, magari con Conte, è al momento fantasioso e prematuro. Non lo è, invece, annotare il dato di fatto: dopo gli ultimi due anni da diplomatico a prescindere, il ct sta perdendo la pazienza. Solo la Figc può fargliela ritrovare: richiamando i calciatori al vero attaccamento alla maglia azzurra, non quello dichiarato a parole, e invitando i club a non invadere il campo della Nazionale. Tocca al presidente Gravina rimettere i paletti. Lo riporta La Repubblica

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