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Rita Rusic racconta: “Avevamo la Fiorentina, case ovunque, aerei privati. Distrutto il patrimonio”

Rassegna Stampa

Rita Rusic racconta: “Avevamo la Fiorentina, case ovunque, aerei privati. Distrutto il patrimonio”

Redazione

5 Dicembre · 14:31

Aggiornamento: 5 Dicembre 2022 · 14:31

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Rita Rusic, l’ex moglie di Vittorio Cecchi Gori, patron della Fiorentina, ha raccontato al Corriere della Sera la sue esperienza, queste le sue parole:

Che vita fa oggi Rita Rusic?
«A Miami, non sono stata solo in spiaggia: ho preso la laurea in regia alla New York Film Academy, tutti i giorni in aula con studenti di vent’anni. La prima lezione era: quali sono gli elementi più importanti di un film? Primo, la storia. Secondo, la storia. Terzo, la storia. Insomma, io che ho prodotto 150 film, tra firmati e non firmati, sono ripartita dalle basi».

Arriva prima l’incontro col cinema o con Vittorio Cecchi Gori?
«Facevo la modella, studiavo Medicina, andavo sempre in un ristorante dove andava anche l’assistente di Adriano Celentano. E lì iniziarono a girare Asso, con Celentano e Edwige Fenech, e conobbi Vittorio, che m’invitò subito a un festival a Buenos Aires. Non andai».

Lui le piacque?
«Come bellezza, no, ma era simpatico, mi faceva ridere, ed era un po’ infantile, anche se aveva 18 anni più di me. E mi lusingava che fosse produttore e mi avesse scelta per corteggiarmi».

Quando interpretò Uraia in Attila Flagello di Dio eravate già fidanzati?
«Sì, ma fui presa non perché mi proposi, ma perché Eleonora Giorgi strappò il contratto, Castellano e Pipolo non trovavano un’altra attrice, nel film erano tutti mezzi nudi e dopo settembre non si sarebbe più potuto girare. Dissero a Vittorio “proviniamo Rita”. Lui non voleva, ma l’inverno incalzava. Mi trovai sul set con un bikini di pelo. Ero felice, ma mi sentivo inadeguata. Infatti, dopo, mi misi a studiare recitazione».

Girò una manciata di film, poi lasciò. Perché?
«A Vittorio non piaceva che facessi l’attrice, ma neanche che andassi all’università, in palestra… Ho fatto tre anni di accademia drammatica e studiato inglese, spagnolo, fatto palestra, tutto a casa. Lui era molto possessivo, io molto giovane e abbastanza stupida: mi sentivo gratificata dalla sua gelosia. Molto presto, ho iniziato ad andare in ufficio con lui, non volevo stare a casa e volevo capire cosa fa un produttore. Alcuni interlocutori erano imbarazzati dalla mia presenza, ma Vittorio era fermissimo. Diceva: se parli con me, parli anche con lei».

Vi sposaste in due anni.
«Andando in chiesa, volevo scappare: avevo paura di non trovarlo dentro».

Quand’è che suo suocero Mario dice «quella mio figlio se lo mette in saccoccia»?
«Secondo me, non l’ha mai detto».

Nei 18 anni in cui è stata la signora Cecchi Gori, non ha mai dato un’intervista, eppure, negli anni ’90 esplode una «Rusic Mania», è la scopritrice di talenti, arrivano premi, copertine.
«Forse la crisi con Vittorio inizia quando, ricevendoci, l’ambasciatore francese disse: l’allieva che supera il maestro. Capii subito che era la fine. I litigi cominciarono dopo la cover di Lady Ciclone, su Sette . Lui iniziò a soffrire il mio successo, come se togliesse qualcosa a lui. Era come dire: è brava la moglie, non lui. Non era vero. Forse come produttore ero più brava io, mi piaceva lavorare col regista, gli sceneggiatori… Ma come imprenditore lui aveva più visione. Io non vedevo competizione, ma compensazione. Lui, invece, iniziò a considerarmi una nemica, non più la donna che eravamo partiti con due film all’anno ed eravamo arrivati a farne 60. Ormai avevamo la Fiorentina, Tmc, case ovunque, aerei privati, andavamo su barche da un miliardo di lire al mese. Era una dimensione non normale e anche le tensioni erano fuori dall’ordinario».

Ricordi sfolgoranti da produttrice?
«Il Leone d’argento a Venezia per il mio primo film, Il toro , di Carlo Mazzacurati. Iniziai col cinema d’autore, con film che vincevano premi, ma non facevano soldi. La scuola di Daniele Luchetti, che vinse il David e incassò, fu la soddisfazione maggiore. E poi ci sono i comici che ho fatto esordire come attori, autori e registi: Pieraccioni, Panariello, Salemme, Albanese».

Suo marito quanto credeva nei nomi nuovi?
«Diceva: lascia perdere quei bischeri, occupati di Paolo Villaggio e Alberto Sordi. E io: me ne occupo, ma i nuovi li dobbiamo trovare».

La separazione fu rissosa e con interventi dei carabinieri.
«Fu orribile. Ricordo quando lessi nello sguardo di Vittorio che per lui non contavo più niente. Sentii che mi voleva annientata».

Ricominciare come fu?
«Lui non volle che lavorassimo insieme. E andai via senza un euro. Ero abituata a autista e guardie del corpo. Oggi mi sembra ridicolo, ma avevo paura a uscire di casa da sola. Il mio numero, il più ambito del cinema italiano, per un anno e mezzo, non ha mai squillato».

Perché andò via senza un euro?
«Ho preso zero e neanche una casa ed è stata un’offesa per tutte le donne che hanno passato anni con un uomo, facendo, lavorando, dimostrando. L’altra vergona è che ci ho messo 17 anni e mezzo divorziare, una violenza terribile. E il divorzio è arrivato quando non c’era più niente: Vittorio era stato arrestato e le società erano fallite. I miei figli non hanno neanche un garage che arrivi dal padre».

Com’è potuto crollare un impero?
«Me lo chiedo anch’io. Valeva quattromila miliardi di lire: se lo fai apposta, non ci riesci».

Oggi, come si mantiene?
«Ho aperto a Miami, con una socia, un concept store sofisticato e di successo, si chiama Violet & Grace lavoriamo ad altre aperture, Roma inclusa. E negli ultimi anni ho raccolto storie da produrre per cinema e serie. Presto prevedo di raccogliere i frutti».

Nel 2008, ha pubblicato con Mondadori «Jet Sex», un «diario erotico sentimentale». Quanto c’era di vero fra sesso su voli privati e infedeltà con i calciatori?
«È come per lo scrittore di gialli, che non è un assassino, ma un potenziale assassino. Io non ho mai nascosto di essere attratta dal sesso, lo trovo bello, giocoso. Sono io che portai in Italia Sex and the city , su Tmc».

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