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Castrovilli: “Resto umile, non voglio rovinarmi la reputazione per quattro soldi in più”

Rassegna Stampa

Castrovilli: “Resto umile, non voglio rovinarmi la reputazione per quattro soldi in più”

Redazione

23 Novembre · 17:14

Aggiornamento: 23 Novembre 2019 · 17:14

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Queste le parole rilasciate nelle pagine di SportWeek da Gaetano Castrovilli: “Devo ancora realizzare. Per dire: faccio il mio primo gol al Milan, la squadra per cui tifavo da bambino. Il giorno dopo avevo già dimenticato. Forse è proprio questa la mia forza. Non so se sia spensieratezza o incoscienza. Non riesco neanche a capire. Però questa cosa mi aiuta tanto, perciò quando mi guardo allo specchio vedo ancora il ragazzo che ero prima. Che ragazzo ero prima? Umile, sorridente e disponibile. Il pericolo che il grande calcio mi cambi non c’è, vengo dalla strada e non intendo rovinarmi la reputazione per quattro soldi in più. La mia è una famiglia di lavoratori, gente semplice che mi ha insegnato a tenere i piedi per terra sempre, anche se la ruota inizia girare veloce e per il verso giusto. Essere figlio di un falegname significa imparare a saper fare sacrifici e a riconoscerne l’importanza. Sono nato a Canosa di Puglia, perché lì c’è l’ospedale, ma sono cresciuto a Minervino, una cittadina di diecimila abitanti scarsi. Un piccolo mondo dai confini delineati, lì la vita scorre lenta. Come mi immaginavo da bambino? Sai, non ho mai pensato a questo, vivevo alla giornata esattamente come adesso. Non penso mai al futuro, non faccio programmi a lungo termine. Forse questo dipende anche dalla mia famiglia. Che cosa mi dice mia mamma? Lei non parla, piange. Mi guarda in televisione mentre gioco, ripensa ai tanti sacrifici che tutti insieme abbiamo fatto affinché io diventassi un calciatore e piange. Se i miei mi hanno mai detto di lasciare il calcio? No, non l’hanno mai detto e per come sono fatti non l’avrebbero mai fatto. Sono persone piene di orgoglio e pur di permettere a suo figlio di raggiungere i suoi obiettivi sono disposti a rompersi la schiena. Piuttosto fui io che a 12 anni volevo smettere perché mi faceva male vedere quanta fatica facessero i miei, in tutti sensi, per consentirmi di giocare nel Bari. Fu proprio mio zio Nimbo a convincermi a non mollare. Per essere felice mi basta un piccolo gesto, un pensiero. Anche perché sono uno che preferisce dare piuttosto che ricevere. Parlo di affetto, che non sono bravo ad esprimere a parole, ma preferisco far capire. A mia madre e a mio padre non ho mai detto “vi voglio bene“, ma glielo dimostro. In quale modo? Sfottendoli. Ogni volta che li prendo in giro capiscono quanto affetto provi per loro. Esprimo i miei sentimenti sempre in una maniera concreta. A luglio di un anno fa papà era ricoverato in ospedale. Il giorno prima che uscisse gli presi un cane, un bulldog francese che abbiamo chiamato Pisellino. Per fargli una sorpresa gli dissi che non sarei potuto passare a salutarlo perché dovevo rientrare a Cremona, dove giocavo allora. Si incazzò veramente: “Ma come, io torno a casa e tu non ti fai trovare?“. Fatto sta che la mattina dopo aprì la porta e mi trovò ad aspettarlo con Pisellino in braccio. Come mai il mio amore per la danza? Mio padre per un periodo era un dj, mi ha trasmesso così la passione per la musica. Mettevo su la musica e ballavo scalzo sul tappetino, oppure danzavo insieme ad una bambina che abitava di fronte. Fu per questo che a sette anni mi iscrissi a danza classica, durò un anno e mezzo poi lasciai perchè ero l’unico bambino. Ribery? Quante sfide con lui, è una persone eccezionale sia dentro che fuori dal campo. In allenamento ci sfidiamo spesso. Quando ho la palla lo cerco e lui fa lo stesso con me, ho un bellissimo rapporto con lui, persona fantastica. Le parole che mi ha detto Antognoni mi sono scivolate addosso, Antognoni è Firenze. Lo ringrazio molto, però finisce qui. Ci siamo parlati tante volte ma è più forte di me, ascolto un complimento poi me ne scordo. Dove gioco adesso, da mezzala mi piace. Attacco e difendo, ho la porta avversaria avanti e non alle spalle. Sì è vero Montella si è convinto subito a Moena, però forse perchè ero uno dei pochi che erano già arrivati in ritiro”.

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