Questione di feeling. E di cuore. Quello di Beppe Iachini, 58 anni, doppio ex della delicata sfida che si gioca stasera al Bentegodi, che prima prova ad affidarsi alla diplomazia e poi alla fine confessa: c’è più Fiorentina che Verona (in gialloblu giocò dall’87 all’89 subito dopo l’unico scudetto degli scaligeri) nella testa e nell’anima, e non potrebbe che essere così. «Sono stato bene in riva all’Adige, mi hanno permesso di affacciarmi all’Europa con una squadra che aveva ancora diversi giocatori dello storico e straordinario scudetto vinto due anni prima con Bagnoli. Ma Firenze…»
Firenze cosa?
«È unica, in tutto e per tutto. Cinque anni da giocatore e poi l’esperienza da allenatore, come fai non rimanerci attaccato? E pensare che non dovevo venire».
Come mai?
«Siamo nell’estate del 1989, il Verona ha grossi problemi economici e decide di vendere i migliori: io sono un centrocampista molto più che promettente e ho avuto la fortuna e forse la bravura di fermare qualche volta quel mostro di Maradona».
E quindi cos’è successo?
«Beh, Diego contava tantissimo nel Napoli, com’era giusto che fosse, e quindi i partenopei su suo suggerimento decidono di acquistare il mio cartellino. Mi informano e sono molto contento. Poi, la mattina successiva mi chiama Nardino Previdi (direttore sportivo viola dell’epoca ndr ) e mi annuncia ufficialmente che mi aveva preso la Fiorentina. Andava benissimo lo stesso».
Sotto il Vesuvio però avrebbe vinto lo scudetto…
«Sì, ma non mi sarei goduto tutto quello che ho vissuto a Firenze, dove la gente mi ama ancora. E questo per me conta più di tutto».
A Verona non è così?
«Si ricordano di me quelli un po’ meno giovani, che mi hanno visto giocare nei due anni in cui sono stato lì. Poi ho allenato il Chievo e certamente questo non ha aiutato».
Arrivò in viola insieme al gemello Pioli.
«E Volpecina: molti dissero che ci aveva preso la Juventus per girarci ai Pontello come anticipo della futura cessione di Baggio, ma questo non l’ho mai saputo. Che numeri con Roberto e che amicizia in quello spogliatoio; Faccenda, Landucci, Borgonovo, Di Chiara… Con Stefano abbiamo giocato sette anni insieme, poi, proprio a Firenze abbiamo vissuto da allenatori l’esperienza più dura della carriera».
Due situazioni diverse, ma entrambe molto difficili da affrontare.
«Posso solo immaginare cosa abbia significato per tutti la morte di Astori e Stefano è stato bravissimo, un vero padre per tutti i ragazzi. Noi abbiamo attraversato il Covid e non è stato semplice, tra chi si ammalava anche seriamente e chi nello staff ha visto morire parenti e amici. Ciò nonostante, senza pubblico e con allenamenti quasi surreali, siamo passati dal terz’ultimo al decimo posto ed è stata una delle stagioni più soddisfacenti della carriera».
Ha avuto grandi allenatori.
«Non mi sono fatto mancare niente: da Mazzone a Bagnoli, da Ranieri a Spalletti, passando per Radice, Novellino e inserirei anche Bruno Giorgi, che è stato un ottimo maestro di calcio e che troppo spesso viene dimenticato. Ho provato a rubare qualcosa a tutti per poi sviluppare le mie idee».
Come valuta Italiano?
«Mi piace. Ha avuto la possibilità di lavorare sulla lunga distanza, cioè due anni, e si vedono le sue idee. Il fattore Europa e le tante partite da giocare contano molto ed incidono sul campionato, un po’ come successe a noi quando arrivammo in finale con la Juventus rischiando la B nel 1990, anche se oggi le rose sono molto più larghe. Adesso puoi contare su almeno 25 giocatori, noi eravamo al massimo 18 e comunque tre impegni alla settimana di quell’intensità alla fine si fanno sentire».
Il Verona ha cominciato la sua rincorsa alla salvezza.
«E potrebbe pure farcela, anche per una questione psicologica. A un certo punto della stagione è quasi meglio rincorrere che stare davanti, perché cominci a giocare con l’affanno, mentre dietro si moltiplicano le energie, vedi la Salernitana della passata stagione».
È proprio quello di cui hanno paura i tifosi viola…
«Ma no, la Fiorentina non ha di questi problemi. Ci vuole attenzione, certo, ma senza farsi prendere dal panico o mettendosi a fare chissà quali calcoli. Speriamo invece che tra qualche mese, dopo tanti anni senza un trofeo, si possa festeggiare qualcosa». Lo scrive il Corriere Fiorentino.