A Firenze prima della smazzata galattica, quindi garanzie tecniche poche, ma se uno passa da qui prima o poi ci vuol tornare: esattamente questo ha pensato Stefano Pioli quando a fine primavera ha risposto a Corvino, l’accordo è stato trovato sulla fiducia, della serie: come potrei rispondere di no? Non sarà facile pensò comunque Pioli, sarà difficilissimo si è detto poi il 26 giugno dopo il comunicato dei Della Valle.
Vita complicata in un posto esigente, del resto quando uno se le va a cercare. Eppure mai, proprio mai, Pioli si è pentito di aver accettato una delle imprese calcistiche più difficili: allenare a Firenze nell’anno della rifondazione tecnica (e del malumore diffuso fra i tifosi ) dopo le 6 stagioni di Montella e Sousa, quindi dopo alcune rappresentazioni estetiche mica da poco, se ovviamente si esclude la deriva triste degli ultimi mesi portoghesi del quasi tutti contro tutti.
Pioli rispetto a chi l’ha preceduto ha una dote in più, perché per la Fiorentina ci sente davvero: è come se la vita precedente da calciatore gli avesse lasciato in sospeso un legame riannodabile attraverso una prospettiva diversa. Domenica a Benevento saranno 250 le sue panchine in A e addirittura 500 (altro numero tondo) sommandole a quelle in serie B: non solo per festeggiare questo traguardo, Pioli e la Fiorentina dovranno lasciare tracce concrete.
La Nazione