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Jovic suona la carica: “Ho detto ai miei compagni che vinceremo almeno un trofeo”

Firenze, stadio A.Franchi, 05.02.2023, Fiorentina-Bologna, foto Lisa Guglielmi. Copyright Labaroviola.com

Rassegna Stampa

Jovic suona la carica: “Ho detto ai miei compagni che vinceremo almeno un trofeo”

Redazione

4 Marzo · 10:27

Aggiornamento: 4 Marzo 2023 · 10:27

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Firenze, stadio A.Franchi, 19.02.2023, Fiorentina-Empoli, foto Lisa Guglielmi. Copyright Labaroviola.com

Tra Batar e Belgrado, Bosnia-Erzegovina e Serbia, ci sono 145 chilometri. Luka Jovic, attaccante serbo della Fiorentina che stasera affronterà il Milan (ore 20.45, stadio Franchi esaurito), percorreva quella strada ogni giorno fin da quando aveva otto anni. Era la distanza che doveva coprire per andare dal suo piccolo villaggio vicino a Bijeljina agli allenamenti della Stella Rossa. L’aveva scelta lui, da piccolo, preferendola al Partizan. Perché Jovic è il ragazzo delle decisioni forti e precoci. L’esordio con gol decisivo nella “Crvena Zvezda” a soli 16 anni e cinque mesi (il più giovane marcatore di sempre del club). E anche il più giovane a giocare il “Derby Eterno” contro il Partizan e a segnare 5 gol in una gara di Bundesliga (con l’Eintracht). Il Real Madrid a 21 anni appena e adesso il campionato italiano per tornare a brillare. Dieci gol in stagione, in testa nella classifica marcatori della Conference League. «Appena sono arrivato alla Fiorentina ho detto ai miei compagni serbi che avremmo vinto Conference League e Coppa Italia, perché ogni anno da quando sono professionista ho vinto almeno un trofeo ovunque sono andato». Sorriso sincero, sguardo deciso di chi vuol riprendersi tutto.

Torniamo alle origini. Ricorda i primi allenamenti?

«È stato molto difficile ma ne è valsa la pena, ho realizzato il sogno che avevo fin da piccolo: quello di diventare un calciatore professionista. Ricordo i 145 km che facevamo con la vecchia Volkswagen Passat nera di mio padre. Tante volte abbiamo dormito in quella macchina, noi due, lungo la strada».

La sua famiglia è sempre in Bosnia?

«Sì, lavorano a Batar. Mi portano fortuna. Oggi per la prima volta è arrivato mio padre in Italia e stasera sarà al Franchi».

Ha vissuto il periodo della guerra nel suo Paese?

«Grazie a Dio, no. Sono stati anni molti tristi e spero che non si ripeta mai più quel che ha passato la mia gente. Vengo da un paese povero, dove molte famiglie vivono in condizioni difficili. La mia ha fatto sacrifici enormi per permettermi di arrivare fin qui. Amo il mio popolo e rispetto gli altri: croati, bosniaci, tutti. Guardo la persona per quel che è, senza pensare alla sua nazionalità».

Stasera incrocerà Ibrahimovic, uno dei suoi idoli?

«In assoluto, anche per le sue origini slave (il padre di Ibra, Sefik, è nato proprio a Bijeljina, ndr). Zlatan ha lasciato una traccia indelebile nel calcio e anche adesso è il valore aggiunto di un top club come il Milan. Un altro mio idolo è Radamel Falcao».

Perché?

«Per il suo stile di gioco. Guardavo ogni sua partita per poi riprodurre le sue giocate. O almeno, ci provavo. E poi per i suoi capelli: un cespuglio bellissimo».

È vero che il suo allenatore alla Stella Rossa, Slavisa Stojanovic, inviava i compagni di nascosto nella sua camera per rubarle ciambelle e patatine delle quali andava matto?

«Ma no, non così tanto (Jovic ride, ndr). Ormai è diventata una leggenda. Stojanovic però è un grande uomo prima che un grande allenatore. Mi ha dato fiducia che avevo solo 16 anni: non potrò dimenticarlo».

Lei è ambidestro. Una dote rara…

«Devo tutto a Pavle Jevtic, il mio primo allenatore. Stavo con lui nel suo giardino di casa ogni giorno a ripetere quei gesti. Così ho imparato a colpire di testa e a usare entrambi i piedi».

Che è successo, poi, col passaggio al Real Madrid?

«È andato tutto per il verso sbagliato fin dall’inizio. Mi sono trasferito dall’Eintracht troppo presto, dopo soltanto una stagione al top. Tutti i riflettori erano su di me. Ma è difficile per un giovane di 21 anni adattarsi nel club più grande del mondo. Hai l’occasione di giocare coi migliori ma hai anche bisogno di tempo: qualcuno ci riesce, altri no. Tra infortuni, Covid, pressioni ingiuste: un’esperienza infelice. È stato un onore giocare per il Real ma adesso ho voltato pagina e penso solo alla Fiorentina».

Perché ha scelto i viola?

«Qui posso crescere tanto e bene. È l’ambiente ideale per ritrovare me stesso. Ringrazio il presidente Commisso che mi ha fortemente voluto».

Due anni fa doveva prendere il posto di Ibra al Milan, ricorda?

«È motivo di grande soddisfazione e onore per me ma non c’è niente di vero».

Stasera lo incontrerà per la prima volta però…

«Un sogno. A fine partita vorrei scambiare la maglia con lui ma prima dobbiamo pensare alla partita. Vogliamo vincere, ci servono punti e io darò tutto».

Come si gestiscono le pressioni?

«Sono diventato professionista a 16 anni, ho dovuto imparare a gestire la pressione fin da ragazzino. E poi chi gioca il ‘Derby Eterno’ impara in maniera naturale tutto ciò».

Che rapporto ha coi social?

«Li utilizzo sempre meno, è un mondo falso dove vengono dipinte immagini false delle persone».

La Fiorentina può davvero vincere la Conference?

«Certo. La preparazione mentale è l’aspetto più importante: ce la possiamo fare perché abbiamo tutte le qualità per vincerla». Lo scrive Repubblica. 

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