I segni dell’ultima battaglia (quella stravinta con Tengstedt del Verona) sono ancora visibili sul suo volto da bambino incerottato. Ma Pietro Comuzzo, di infantile, ha ormai solo i tratti somatici e, al massimo, la carta d’identità.
Visto che all’interno della sala stampa di Coverciano dove in passato hanno preso la parola fior fior di campioni si è presentato un uomo che nel giro di tredici mesi ha esordito tra i professionisti, si è preso la maglia da titolare della Fiorentina e a nemmeno vent’anni è stato convocato per la prima volta in Nazionale: «Il mio sogno era questo, essere qui con gli Azzurri: lo speravo da quando vedevo l’Italia in tv» ha raccontato il talento nato a San Daniele, scelto dal ct Spalletti per la sua attenzione in campo e per il modo «old style» col quale riesce ad anticipare i diretti avversari. Chiedere, per conferma, a Morata e Dovbyk, usciti dal Franchi col mal di testa: «Mi sento a mio agio nella marcatura ma non voglio fermarmi: cerco apprendere il più possibile da calciatori come Bastoni e Calafiori perché voglio diventare un difensore completo» il pensiero del centrale, che dal momento in cui Palladino lo ha schierato dall’inizio alla prima di campionato ha saltato solo due partite: «Da quando ho esordito con i grandi ho capito che potevo raggiungere questo livello: da gennaio sono rimasto in prima squadra e lì ho avvertito che avrei potuto giocarmi le mie carte. Per quello che ho ottenuto fino ad ora, un pensiero va a mia madre: se sono qui, è soprattutto per lei».
Già, mamma Sabrina, scomparsa a febbraio dello scorso anno a soli 53 anni e alla quale Comuzzo dedica ogni suo traguardo, in azzurro così come in viola: «Con la Fiorentina cerchiamo di lavorare ogni giorno per migliorarci. Siamo lassù e vogliamo rimanerci: la cosa bella del nostro gruppo». Parola del giovane-grande Pietro. Lo scrive La Nazione.