Un terzino sinistro sepolto da un abbraccio. Di questi tempi va così: dobbiamo pensare positivo, farci coraggio, provare a ripensare al meglio del nostro essere l’Italia. Va che ieri sera, in quel mucchio selvaggio che ad un certo punto ha fatto scomparire Cristiano Biraghi, coperto da una valanga di gioia repressa, abbiamo rivisto la montagna di maglie azzurre che si accatastò sopra Fabio Grosso, quando quest’ultimo ci aveva appena spalancato la porta verso Berlino e la finale mondiale. Biraghi ci ha portato molto più vicino, semplicemente verso un domani che non dovrà più fare i conti con una parola fastidiosa come retrocessione.
Ma se quello di Lippi era un gruppo di ferro, quello di Mancini è un gruppo che sta nascendo. E in gruppo vero segna anche chi non fa quello di mestiere: l’uomo che non ci aspettavamo dodici anni fa e forse l’ultimo che ci aspettavamo ieri sera. Anche se Biraghi ogni tanto un gol lo fa, proprio come li faceva Grosso.
«Il colpo di testa non è il mio forte, e l’unico modo per prenderla era andare sul secondo palo: sono andato lì, poi è stato bra- vo Lasagna a “spizzarla”. Passavano i minuti, avevamo occasioni, ma la palla non entrava: dopo un po’ inizi a innervosirti, ma siamo stati bravi, ci abbiamo creduto fino alla fine e siamo stati attenti alle ripartenze, perché queste partite a volte è più facile perderle che vincerle. Adesso ancora non mi rendo conto di quello che ho fatto, ma sono molto contento. È la vittoria del gruppo e dell’Italia: siamo una nazione di duri a morire».
In campionato Biraghi aveva già segnato anche quest’anno: su punizione, come ieri sera ha punito la Polonia. Ma il gol che è tornato in mente ieri sera è stato quello dell’anno scorso contro il Chievo, su passaggio di Astori nell’ultima partita giocata da Davide prima di morire. E proprio al suo capitano ha ripensato Cristiano, perché non c’è gioia abbastanza grande da cancellare il ricordo di un dolore così grande: con le dita ha disegna- to un 1 e un 3, il 13 della maglia di Astori:
«Davide è parte di me, come di tutti noi della Fiorentina e di chi ha giocato con lui. Se sono qui è anche per i suoi insegnamenti, che mi hanno fatto crescere tantissimo».
Con Astori aveva diviso prima amicizia e poi momenti importanti di Fiorentina, quelli che l’avevano portato ad essere titolare alla faccia degli scetticismi. Gli stessi che forse l’avevano accompagnato anche oltre il cancello di Coverciano, ma la fiducia di Mancini è stata più forte di qualunque dubbio.
Gazzetta dello Sport