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Sacchi racconta anche gli inizi con la Fiorentina: “Mi chiamavano Signor nessuno, perdevo tutte le partite”

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Sacchi racconta anche gli inizi con la Fiorentina: “Mi chiamavano Signor nessuno, perdevo tutte le partite”

Redazione

22 Settembre · 23:17

Aggiornamento: 22 Settembre 2023 · 23:20

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Sono passati cinquant’anni da quel settembre del 1973 in cui per la prima volta Arrigo Sacchi sedeva su una panchina, quella del Fusignano in seconda categoria. Nessuno stipendio, come racconta l’ex allenatore alla Gazzetta dello Sport, “Dove lo troviamo un altro che allena gratis e che, grazie all’azienda di suo babbo, ci dà pure i fari per illuminare il campo?”, dissero dalla società. E così iniziò l’avventura, anche se Sacchi non si riteneva all’altezza: “Non sono mica capace”.

Iniziò così la carriera di Sacchi, che poi lasciò il Fusignano per l’Alfonsine, prima dell’avventura al Bellaria in quarta serie, dove si dimise dopo sei giornate e cinque sconfitte. Poi il settore giovanile del Cesena, il Rimini, le giovanili della Fiorentina e il Parma. “Mi chiamavano Signor Nessuno”, scrive Sacchi. In Emilia spiccò il volo per Milano e il Milan di Silvio Berlusconi. E il resto è storia nota.

“Siccome serviva un allenatore che non volesse soldi, un dirigente pensò a me che avevo smesso di giocare pochi mesi prima. Quando mi fece la proposta, gli risposi: ‘Io non sono mica capace’. E lui: ‘Nella vita s’impara tutto’. Lì è cominciata la mia splendida avventura nel calcio: dalla provincia, da quei campetti spelacchiati della Romagna, dove la gente si aggrappava alla rete di recinzione per incitare o per insultare

In precampionato perdemmo quasi tutte le amichevoli: avevo fatto una preparazione durissima. Qualcuno in paese voleva esonerarmi. Intervenne il signor Belletti: ‘Dove lo troviamo un altro che allena gratis e che, grazie all’azienda di suo babbo, ci dà pure i fari per illuminare il campo?’. La saggezza è spesso figlia dell’emergenza. Nel 1977 venne l’esperienza con il Bellaria in Quarta Serie. Nelle prime 6 giornate di campionato perdemmo 5 partite e allora io decisi di dare le dimissioni. ‘Ma perché, Arrigo?’ – mi fece il presidente -. ‘Lei sta facendo un ottimo lavoro’. Non si perdeva un allenamento e gli piaceva il mio metodo. Io, però, non avevo il patentino e le partite le seguivo dalla tribuna e urlavo come un matto per farmi sentire. Ci salvammo e fu un successo”.

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