Il presidente della Federbasket dal 2013, e dal 1999 al 2013 è stato il numero uno del Coni, carica che ha ricoperto per quattro mandati consecutivi. Durante i Mondiali di Italia ’90 è stato segretario generale della Figc, proprio nel periodo dell’ultima ristrutturazione degli stadi italiani. Gianni Petrucci, conosce alla perfezione le difficoltà che un dirigente sportivo deve affrontare in Italia quando si parla di crescita e di infrastrutture.
Gianni Petrucci, che idea si è fatto del dibattito attorno allo stadio Franchi?
«Io sono dalla parte della Fiorentina. Quando si parla di impianti storici o monumentali di grandi architetti del passato, si sottovaluta sempre la funzione sociale che ha una società di calcio. Volente o nolente in Italia è il calcio lo sport che riunisce più socialità e che incide nelle nostre vite. Di pallone si parla ogni giorni, nelle strade, nei bar, fa parte del nostro vivere quotidiano. E invece ci si attacca ai cavilli per poi non fare niente e lasciare tutto com’è. Ma è sbagliato: la storia si può e si deve riammodernare».
Come mai in Italia è così difficile avere impianti all’avanguardia?
«Vede, io sono stato sindaco di San Felice Circeo e quindi conosco quelli che sono i bilanci comunali. Certo non si può paragonare a una grande città come Firenze, ma resta il fatto che i Comuni non hanno soldi per fare impianti sportivi».
E quindi dovremmo affidarci ai privati, alle società. Eppure anche quando ci sono imprenditori pronti a investire tutto diventa difficile…
«È la nostra mentalità che è sbagliata. Si parte dal preposto che la costruzione di nuovi impianti porti con sé solo ruberie e speculazioni. Ma non è così. Il risultato è che siamo fermi agli impianti fatti costruire dal Coni 60 o 70 anni fa e che poi furono affidati ai Comuni e di conseguenza alle società. Lei pensi che a Roma non c’è un palazzetto per il basket degno di questo nome. Quello che abbiamo può contenere 3.500 spettatori e anche quello arriva dagli anni Sessanta e fu costruito, manco a dirlo, proprio dall’architetto Nervi».
A proposito di Nervi, anche Rocco Commisso sta iniziando a perdere la pazienza. Che cosa gli consiglia?
«Di rimanere e di continuare a investire. È un uomo con gli attributi, un innamorato del calcio, mi piace molto anche perché parla italiano. Mi piacerebbe che anche i tanti giocatori stranieri che sono nel basket dopo un po’ si sforzassero di parlare italiano. Tornando alla Fiorentina posso solo parlarne bene. Ha un imprenditore che vuole mettere soldi nel calcio, un allenatore e un direttore sportivo come Prandelli e Pradè ai quali sono molto legato. E poi c’è la città…».
Che rischia senza uno stadio nuovo di essere costretta alla mediocrità sportiva…
«Non si può condannare una città e una società. Firenze trasuda calcio. Quando ci fu il fallimento e la rinascita della Fiorentina facemmo il Lodo Petrucci perché non si perdesse il nome. La nostra filosofia era che in una città che ama il calcio non può sparire la sua squadra. Lei tolga il calcio a Firenze e che resta a livello sportivo?».
Eppure le resistenze sono molte. Qual è il rischio?
«Opponendosi alla ristrutturazione del Franchi non ci si rende conto del messaggio che si dà. Si scoraggia un imprenditore a investire. Non so se a Roma Pallotta sia andato via per le difficoltà nel realizzare uno stadio nuovo, ma la realtà è che oggi quelli che vogliono investire nel calcio devono avere la possibilità di costruire impianti anche per andare incontro agli spettatori. Oggi chi va allo stadio non è lo stesso di un tempo: ci sono molti più giovani e molte più donne. Le esigenze e la abitudini sono cambiate. Ma gli stadi no».
Lo riporta il Corriere Fiorentino.
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