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Fagioli: “Alla Fiorentina sono rinato, alla Juventus non ti godi nulla. Thiago Motta mi ha fatto fuori”

Rassegna Stampa

Fagioli: “Alla Fiorentina sono rinato, alla Juventus non ti godi nulla. Thiago Motta mi ha fatto fuori”

Redazione

19 Marzo · 10:21

Aggiornamento: 19 Marzo 2025 · 10:41

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Nicolò Fagioli si è raccontato in una lunga intervista al Corriere dello Sport, dalla Juventus fino ad arrivare alla Fiorentina

Nicolò Fagioli ha parlato al Corriere dello Sport, queste le sue parole del nuovo centrocampista della Fiorentina:

Sentita più e più volte: «Fagiolino ha colpi alla Modric». «Eh no, non ancora. Ma chi lo dice, il mister?».

Il mister, il mister. Allegri. «Li ho in allenamento»… (Ride). «Allegri lo stimo tanto anch’io, mi ha fatto crescere e nel periodo della squalifica mi è stato molto vicino».

Eravamo d’accordo che non ne avremmo parlato. Se dev’essere rinascita piena, che rinascita piena sia. Giusto una curiosità: hai affrontato quei mesi con lo spirito del post-infortunio? «Non ero infortunato, no, e non mi sono mai raccontato bugie. È stato altro. Un bene e un male. Perché potevo lavorare, correre e fare palestra, ma sapendo che non avrei giocato».

In fondo è ciò che sta vivendo per altri motivi Edo Bove. «Quella roba lì. Ci conosciamo dall’Under 21, Edo è un bravissimo ragazzo. Mi rendo conto di quanto gli manchino il campo, la partita. Però è con noi, l’abbiamo sempre accanto».

Mi trovo di fronte un Nicolò Fagioli nuovo. Un talento quieto e iper consapevole che in campo riesce finalmente a sfruttare i suoi innegabili punti di forza. Sembra che sia arrivata la serenità. «Lo sono, sereno. Mi sto divertendo, il divertimento è la base di ogni cosa, avverto anche il peso delle responsabilità e, devi credermi, è piacevolissimo. L’assenza dal campo, il grande vuoto mi ha fatto recuperare la passione».

La tua è una sorta di resurrezione umana, oltre che sportiva. «Mi sono riappropriato della mia vita… Alla Juve sono stato undici anni, quando a fine dicembre ho deciso che me ne sarei andato mi sono sentito più leggero. Ma nel momento dell’addio ho pianto. Una bella botta. Ho pianto senza accorgermene, quel giorno mi sono reso conto che si chiudeva una lunga fase della vita, lasciavo i posti, i compagni, il tragitto di tutti i giorni. È stato traumatico. La Fiorentina mi ha accolto con tanto affetto e la novità ha finito per prevalere sul resto».

Dalla Juve a Firenze il passaggio non è storicamente dei più comodi. Le pressioni esterne sono forti. «Per me è lavoro, non riesco a pensare ad altro».

Il processo di formazione mentale alla Juve è comunque servito. «Alla Juve non riesci nemmeno a godere delle vittorie. Hai vinto una partita, la devi subito dimenticare e guardare avanti. Se non vinci ti senti addosso tutte le responsabilità del mondo. Indossare quella maglia non è semplice».

Hai ventiquattro anni, non sei più un ragazzino. «Anche la partenza da Torino mi ha permesso di esaurire la fase del ragazzino. Che mi stava molto stretta. La stessa cosa l’ha provata Moise (Kean, nda). Alla Juve eravamo sempre quelli del settore giovanile, della Next Gen, trattati come tali. Uno scotto che abbiamo pagato».

In che modo? «Alla Juve devi vincere vincere vincere, non puoi sbagliare. Se sbagli vai fuori. E se sei il giovane diventi il primo cambio e nessuno dice niente. Solo Allegri mi ha dato la possibilità di giocare con continuità. Dopo Genoa e Lipsia Motta non mi ha più considerato. Firenze mi ha restituito il piacere e la leggerezza. Fagiolino è morto, oggi sono Nicolò».

Piacere e leggerezza che avevi incredibilmente perduto. «Quando sai che l’allenatore non ti vede, se manca la fiducia ti prepari peggio, vai al campo, senti la pesantezza dell’allenamento e naturalmente non rendi. Se entri per tre, quattro minuti e ti dicono che devi entrare meglio, dentro di te scatta qualcosa di negativo. La testa gira diversamente».

A gennaio la Juve aveva ricevuto numerose offerte. «C’era il Marsiglia, c’erano diversi club. Ho scelto chi mi ha voluto di più, sono state fondamentali le chiacchierate con Pradè, con Goretti e Palladino. Moise? Lui mi ha detto “vieni qui che si sta bene”. Il Viola Park è davvero fantastico».

Domenica qualcosa alla Modric l’hai mostrata. «Modric mi piace, è il mio idolo, lo osservo sempre con attenzione. I suoi movimenti con e senza palla, le giocate di esterno, su quelle lavoro sul serio. Ho anche avuto la fortuna di incontrarlo agli Europei».

Da tifoso della Nazionale non posso dire altrettanto. «Lo so bene. Spero di poter tornare in Nazionale il più velocemente possibile, non posso non considerarlo un obiettivo».

Sempre Allegri ripeteva spesso che in campo la tua collocazione ideale è a due, a tre ti perdi. «Dipende da cosa mi chiede l’allenatore, se devo stare più alto o più basso. Con Palladino gioco a tre e mi trovo bene. E le tre partite in una settimana non mi pesano».

Non avverti la stanchezza? «A vent’anni è impossibile, a trenta forse. È anche vero che il giocatore esperto sa come dosare le energie. Se giochi in una squadra come la Juve, l’Inter, il Milan e il Napoli è naturale avere tanti impegni, lo sai in partenza».

Ti consideravano il nuovo Del Piero. «Perché giocavo trequartista… le solite cagate. Crescendo e transitando attraverso le va-rie Under fi no alla prima squadra ho capito che però ci stavo dentro».

I riferimenti alti non ti sono mancati. «Ho imparato tanto da Ronaldo, ma è fi n troppo facile dirlo. E da Buffon, Chiellini, Bonucci, Mandzukic, Dybala».

Nicolò, Henry Ford un giorno disse: «L’errore ci dona semplicemente l’opportunità di iniziare a diventare più intelligenti». «Più intelligenti, dici? Sbagliare è umano, soprattutto a una certa età, con questo non mi assolvo. Importante è non ripetere l’errore, gli errori… Le persone che ti vogliono veramente bene le riconosci nel momento della difficoltà, quando tutto intorno a te è nero. Io la squalifica non la dimentico, me la porto dentro, ma adesso sono ripartito. Perseverare nel giusto, questa è la vera battaglia che so di poter vincere»

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