Sette anni di viaggio con un’auto. Nel bagagliaio un pallone ormai sgonfio e la voglia di ricominciare. Da Sud a Nord del Giappone: oltre 3500 km percorsi,47 Prefetture e 430 isole. Per scoprire cultura, tradizione e segreti di ogni angolo del Paese. Hidetoshi Nakata dopo il calcio ha scelto di viaggiare. Non ha una casa, usa un vecchio telefono e sta lontano dai social. A 21 anni in Serie A stupiva palla al piede.
Dopo otto stagioni ha detto basta: «Volevo cambiare vita, il calcio era diventato un business per gli altri». Aveva smarrito la passione, l’ha ritrovata in giro per il mondo: «Sono tornato a casa perché mi sono accorto di conoscere poco le mie origini». L’Italia lo ha segnato. L’amore per il buon cibo e il vino, l’architettura, la moda. A stretto contatto con i professionisti della sua terra si è ritrovato: «C’è tanta qualità nelle materie prime. Volevo esportare questi straordinari valori nel mondo».
Oggi Nakata è il CEO di Japan Craft Sake Company: azienda che commercializza sakè, bevanda ottenuta dalla fermentazione alcolica del riso. Ha creato anche una app, Sakenomy, che aiuta a scegliere cosa bere. «Esistono tante tipologie, eppure se ne conoscono poche. Va bevuto freddo, la temperatura di conservazione non deve superare 5 gradi». Cura del dettaglio e attenzione ai particolari, Nakata era così anche da calciatore.
Dopo la storica qualificazione del Giappone al Mondiale ’98 ha scelto l’Italia: «È la mia seconda casa. Ci ho messo un po’ ad abituarmi perché la gestione del tempo è diversa. Se un appuntamento è alle 12, ci si presenta più o meno alle 12.30. Quando sono tornato in Giappone è stato difficile, arrivavo sempre in ritardo. Ormai ero italiano e mi piaceva». Adesso parla la lingua in modo perfetto: «Sono passati 15 anni da quando sono andato via. Faccio poca pratica, ma spero di essere ancora bravo».
Perugia, Roma, Parma, Bologna, Fiorentina: in A dal 1998 al 2006. Anche un anno in Premier col Bolton. «Per me il calcio è come un fratello minore. Mi ha fatto girare il mondo e conoscere tanti amici». Ha anche segnato il suo futuro da imprenditore: «Probabilmente senza i sette anni in Italia, non sarei diventato ciò che sono oggi». Nessun rimpianto: «Giocavo per passione, quando l’ambiente è cambiato ho smesso. Non avrei mai venduto un fratello per soldi».
Nel 2006 il Mondiale con la sua nazionale. Prima di ringraziare e fare le valigie: «Sognavo di essere un calciatore da quando nel cortile della scuola elementare correvo per fare gol. Ci sono riuscito, adesso inizia un nuovo viaggio». Così salutava nella lettera d’addio. «Non so dire a che punto sia questo percorso, ma sono felice. Ed è l’unica cosa che conta». Adesso dirige un’azienda di successo ed esporta la tradizione nipponica nel mondo. Quando si parla di obiettivi, la sua mano disegna uno zero: «Nessuno. Anche quando giocavo era così. Il futuro non dà certezze». Come un viaggio senza meta precisa. Iniziato sul campo e proseguito in giro per il Giappone. Il motore dell’auto è caldo, Hidetoshi Nakata non si è ancora fermato. Pronti, via. Sorseggiando sakè. Lo scrive Sportweek.
Audio fake e diffamazioni sul motivo delle dimissioni di Prandelli, la Fiorentina querela