Halloween arriverà quarantotto ore dopo, ma per almeno sessanta minuti di gioco il mostro sotto al letto per gli attaccanti dell’Inter è stato David De Gea. Monumentale, salvifico, essenziale: aggettivi che stonano se sei un portiere e la tua squadra ha appena perso per 3-0, tutto questo basta per capire cosa poteva diventare questo Inter-Fiorentina se non ci fosse stato il portierone spagnolo, l’ultimo a rimanere in piedi in una serata da ko tecnico per tutti gli altri.
La scossa l’ha data poi anche in campo, ma non è servito a molto: decisivo subito su Bastoni, poi ancora su Dimarco, sempre con parate di posizione e riflessi, da hockey, coi piedi.
A inizio ripresa poi si supera: per un quarto d’ora la partita diventa un uno contro undici, De Gea contro tutti, un tiro al bersaglio a cui l’ex United tiene botta: altra parata d’istinto puro per il classe ’90, che torna di nuovo a essere San David da Madrid al 56, quando risputa con la mano di richiamo una girata a botta sicura di Bisseck, pallone arpionato e tolto da sotto la traversa, tra l’incredulità dei 70mila presenti.
Qui c’è il bivio della partita: di solito il pericolo scampato ravviva le squadre, ma non serve neanche questo al gruppo di Pioli. E quindi anche il numero quarantatré alza bandiera bianca al 66′ su un colpo alla Çalhanoglu di Calhanoglu, destro avvelenato all’angolino su cui De Gea non può davvero nulla (lo stesso De Gea si giustifica subito coi compagni lasciando intuire di non aver visto partire un pallone che sembrava comunque imprendibile); cade di nuovo su un pezzo di bravura di Sucic, che con una finta sposta tutta la difesa viola ed entra in porta col pallone, poi per una terza volta, ancora Calhanoglu, su rigore. Intuisce l’angolo alla sua destra ma non c’è davvero niente da fare. Da qui, il paradosso, un portiere che subisce tre reti ma è comunque il migliore in campo dei suoi, un dato che dice forse di più sulla qualità (bassissima) della prestazione degli altri. Lo riporta il Corriere dello Sport.
