A fronte della crisi attraversata dalla Fiorentina, il direttore sportivo Pietro Lo Monaco è intervenuto ai microfoni di Lady Radio per analizzare la situazione in casa viola, soffermandosi sulla questione del possibile esonero di Raffaele Palladino. Queste le parole:
“Premessa che si basa su 3 punti: primo punto, la Fiorentina ha un buon organico, con giocatori di buon livello tecnico; il secondo, la Fiorentina ha una buona classifica, se la guardate non si può dire il contrario e che potrebbe essere suscettibile di miglioramento o anche peggioramento; 3 punto, Palladino è un allenatore di buona qualità. Fatte queste premesse devo dire che la Fiorentina non è una squadra, non gioca da squadra, non ha l’animo della squadra. Perché una squadra si basa sulla gestione ottimale dei giocatori.
L’esempio è la Roma, che sembrava una squadretta in lotta per la lotta retrocessione, con Ranieri, senza tanti arzigogoli tattici, solamente passando per la gestione ottimale dei giocatori, ha messo in piedi una squadra nella sua essenza, che non prende gol al 97′, non si fa raggiungere in vantaggio con una squadra in 10 uomini e che aggredisce fino a quando non ti segna il secondo gol. In questo, la domanda che sorge qual è? Se non è la squadra la Fiorentina, chi è allora che lo impedisce che lo diventi? È il lavoro del tecnico, di Palladino. Hai due quesiti quindi: continuo così con la speranza che faccia le cose in un certe modo, oppure dire “ho fallito in questo progetto” e cambiare allenatore.
Come si valuta, quindi? O ci credo talmente tanto in questo allenatore e do il tempo a questo allenatore, oppure se gli ho già dato e messo la linea, dire “cambio”. Avete visto il gol preso contro il Verona? Quello è sintomatico del modo di non essere squadra. Quando sei squadra, i giocatori giocano per gli interessi della squadra e non per se stessi. Ma questo sta all’allenatore. Evidentemente la prima strada è quella giusta, cioè quella di dare ancora fiducia, perché altrimenti significa che hai sbagliato sin dall’inizio. Però il problema vero sta nella gestione individuale dei giocatori. Gli episodi sintomatici sono quelli di Cataldi e di Pongracic. Sono le individualità la problematica, che vanno migliorate. Quindi serve la mano dell’allenatore e la società deve stargli vicino.
Beltran? Se voi ricordate perfettamente, aveva Burdisso come collaboratore dell’area tecnica, quindi non aveva bisogno di mandare osservatori in Argentina vista la conoscenza di quel panorama. Posso capire se faccio un investimento da 3-4 milioni di euro e dici “questo si potrebbe trasformare in prima punta, vediamo se riusciamo ad adattarlo”; farne uno da 25 milioni di euro per un giocatore che il centravanti l’ha fatto poche volte, mi fa venire tante domande. Posso capire se un errore simile lo faccia un osservatore che va in Argentina una volta all’anno, ci può stare, ma se lo fa se uno del posto, che dovrebbe conoscere il panorama argentino a menadito, qualche domandina te la poni. Quando vai a prendere un giocatore, i direttori bravi conoscono a 360° tutto quello che succede attorno ad un giocatore. In Argentina sono dei fenomeni a far lievitare i prezzi dei giocatori”.