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La moderatrice di Fagioli: “Ora è un’altra persona, è stato molto solo. Ora si riaprirà questa ferita che lui sta cercando di chiudere”

Rassegna Stampa

La moderatrice di Fagioli: “Ora è un’altra persona, è stato molto solo. Ora si riaprirà questa ferita che lui sta cercando di chiudere”

Redazione

13 Aprile · 09:07

Aggiornamento: 13 Aprile 2025 · 09:07

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Caso scommesse? Le parole della moderatrice di Fagioli

Caso scommesse? Un argomento spinoso da trattare ma che da giorni è tornato a fare rumore, nell’edizione odierna Tuttosport, ha interpellato la psicologa e psicoterapeuta Sara Vengust, che ha partecipato ad alcuni eventi in cui proprio Fagioli ha parlato di ludopatia e scommesse, nonché moderatrice tra il giocatore della Fiorentina e il dottor Paolo Jarre, il medico psichiatra che ha avuto il calciatore come paziente: “Ci sono diversi fattori di rischio predisponenti. Nella personalità, nello stile educativo, nel modo in cui si cresce. Credo di poter dire con buon margine di sicurezza che incida la solitudine dovuta al contesto. Fagioli lo ha raccontato durante gli incontri con i ragazzi: a 14 anni era già fuori di casa, alla Juventus si è ritrovato catapultato in una realtà economicamente molto favorevole che lo distanziava dai suoi pari ma anche in una realtà sociale che lo ha isolato.

Questo mix, anticipavo, può essersi unito a fattori di rischio già esistenti: ad esempio tendenza all’impulsività, al discontrollo emotivo, all’introversione che ti rende difficile comunicare agli altri quando di trovi in difficoltà. Questo tipo di fattori può portare a questo tipo di conseguenze. È capitato a Fagioli come è capitato ad altri pazienti in trattamento per disturbo da gioco d’azzardo. Lui è salito agli onori della cronaca intanto perché si scommette in maniera commisurata alla disponibilità di denaro, e lui chiaramente aveva grande disponibilità. Inoltre perché è un personaggio pubblico. Poi, non è il primo e non sarà l’ultimo… Adrenalina, dopamina. A teatro Fagioli ha descritto bene questi lunghi pomeriggi in cui era da solo. I compagni erano più grandi o comunque radicati sul territorio e dunque il gioco diventava qualcosa con un valore quasi relazionale. Peraltro in questo caso si parla di gioco clandestino, che è ancora una realtà di secondo livello. Si rischia di più. Ora si riaprirà questa ferita che lui sta cercando di chiudere. Quello che noi clinici cerchiamo di fare in questi casi è vedere la fragilità, la solitudine, l’isolamento”.

 

 

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