
Due a zero e palla al centro. Nuova sentenza a favore del lavoratore sorpreso dal titolare allo stadio a vedere Fiorentina – Juventus, in un giorno in cui era in malattia per lombosciatalgia. Il licenziamento è “illegittimo”, ha ribadito il giudice del lavoro Giorgio Rispoli chiamato a decidere di nuovo sul caso: ha respinto il ricorso della ditta contro il suo primo provvedimento dello scorso autunno. E’ un po’ come accade in campo: gol convalidato dopo aver rivisto tutto al var. In 8 pagine di sentenza il giudice definisce l’espulsione dal posto di lavoro adottata, un provvedimento non giustificato dai comportamenti del dipendente.
Tutto ruota intorno alla partita tra la Viola e la Juve del 21 maggio 2022 (2 a 0 il risultato finale). Il lavoratore fu visto insieme ad un amico allo stadio Artemio Franchi: era partito dal Valdarno, dove abita, ed aveva guidato lui all’andata e al ritorno. Era allegro e si muoveva senza alcun problema.
Secondo l’azienda aveva architettato tutto da tempo, acquistando il biglietto in anticipo e inventandosi il problema di salute con la compiacenza di un medico.
Il rapporto di fiducia con il titolare non sarebbe stato leso. Cerchiamo di capire.
Intanto, rileva il giudice, non è affatto emerso dal processo che l’attestazione del dottore fosse infedele, falsa. Sulla tempistica: è vero che l’acquisto del biglietto avvenne il 13 maggio e già il 22 aprile sapeva di dover lavorare il 21 maggio. Ma, attenzione, la data della partita inizialmente era un’altra: domenica 22 maggio e ai dipendenti era stato comunicato in ditta che le domeniche non si sarebbe lavorato.
E comunque, va avanti il giudice, la data di acquisto dei biglietti è ininfluente nella causa. L’azienda avrebbe dovuto segnalare agli organi ispettivi dell’Inps la presenza del dipendente allo stadio e questi avrebbero valutato se effettuare una visita di controllo.
Poi Rispoli entra nella questione clou: “se recarsi ad un evento sportivo durante lo stato di malattia possa o meno inficiare il rapporto fiduciario tra le parti”. Secondo il giudice la risposta è no, non si tratta di grave inadempimento al punto da meritare il licenziamento.
Andare alla partita “non necessariamente implica l’aggravarsi della malattia”.
Tant’è vero che non c’è stato aggravamento e l’uomo è rientrato al suo posto nei termini previsti dal certificato (malattia dal 19 al 23 maggio). E ancora: “non esiste un obbligo di riposo assoluto in pendenza di malattia ove non oggetto di prescrizione medica”, “si è recato all’evento sportivo in orario in cui egli era non reperibile per la visita fiscale, esplicando il proprio diritto alla libera circolazione assicurato a ogni cittadino che non sia destinatario di provvedimenti restrittivi dell’autorità giudiziaria”.
E che sono poi 90 minuti, quanto dura un incontro di calcio, rispetto all’intera giornata lavorativa, argomenta il giudice del lavoro.
“A fronte di un eventuale accentuarsi del dolore in quel ristretto frammento temporale, avrebbe potuto reagire anche tramite l’assunzione di un antidolorifico”.
Assistere ad una partita, del resto, “non richiede particolari sforzi”. A nulla vale poi, per il giudice, che inizialmente il dipendente abbia negato la circostanza (non fu messo a verbale e negli atti difensivi ha candidamente ammesso di acver tifato dal vivo la squadra del cuore).
Alla luce di tutto quanto, il giudice del lavoro del tribunale di Arezzo, ha confermato l’ordinanza originaria che l’impresa contestava: licenziamento stracciato perché illegittimo, reintegro con indennità relative, spese di lite a carico della ditta che dunque incassa la condanna.
Ci potrà essere l’appello, certo. Intanto il lavoratore che sembrava in off side, ha segnato in contropiede. Lo scrive il Corriere di Arezzo