La classe (’97) non è acqua. Ce ne sono diversi. Giovani talenti che stanno prendendo a spallate il mondo. Come ricorda il Corriere Fiorentino In cima alla lista però, c’è Federico Chiesa. Nessuno, come lui. Quantomeno in Italia. Perché poi c’è pure gente come Mbappe che, ancor più giovane (è nato nel dicembre del ‘98) è già Campione del Mondo e corre per il Pallone d’Oro. Eppure, Fede, non è così lontano. Basta pensare che la Nike, esattamente come col fenomeno francese, ne ha fatto volto di punta per le proprie campagne promozionali. Perché è fortissimo, piace a tutti e oggi, statene certi, non mancheranno le celebrazioni. Social network, media, messaggi. In molti faranno arrivare al 25 viola il proprio messaggio di auguri. Era il 25 ottobre del 1997 quando, a Genova, mamma Francesca metteva al mondo un bambino per il quale nessuno, probabilmente nemmeno babbo Enrico, poteva sognare un destino così. A 21 anni Federico ha già messo insieme 72 presenze in Serie A (con 12 gol e 15 assist), 5 in Europa League (con una rete), 4 in Coppa Italia e 9 in Nazionale maggiore. Roba da far invidia a diversi trentenni. Ma non è (solo) una questione numerica. Anzi. A impressionare è (soprattutto) il resto. La crescita continua, la faccia tosta con la quale affronta (e supera) qualsiasi tipo di esame, l’enorme talento che, unito allo strapotere fisico, lo rende prototipo del campione moderno. Protagonista e sempre più trascinatore sia con la maglia viola che con quella della Nazionale. Le ultime uscite, in questo senso, parlano chiaro. Anche domenica, contro il Cagliari, è stato l’unico in grado di accendere una Fiorentina spenta. Non a caso, s’inizia a parlare di Chiesa dipendenza. Una tesi, peraltro, sorretta dai dati. È suo, tanto per dire (il momentaneo 1-1 di San Siro con l’Inter) l’ultimo gol su azione segnato dai viola. E ancora. Su 101 tiri tentati dalla banda di Pioli, 22 sono suoi. In media, fanno 3,4 conclusioni di media a partita. Un dato che lo colloca al nono posto assoluto in Italia. Fede, poi, è il migliore della rosa per occasioni create (16), è secondo per falli subiti (20, contro i 22 di Gerson), guida la classifica dei passaggi chiave (1,8 a partita) e domina quella dei dribbling, con 2,3 di media a gara. In Serie A, soltanto Cancelo (media di 3 a partita) fa meglio di lui. A 21 anni insomma, Federico è già nell’Olimpo del calcio italiano. Punto di riferimento nel club, e simbolo della Nazionale che prova a ripartire. Eppure, lui, è sempre lo stesso. Campioncino nei piedi, e nella testa. Volete una conferma? Oggi nessun festeggiamento particolare. Allenamento e, in serata, cena in famiglia. Mancano 48 ore alla trasferta di Torino e di sgarrare non gli passa neanche per la testa. Per fare (un pizzico) di baldoria, ci sarà tempo domenica, semmai. Un comportamento esemplare. Frutto dell’educazione ricevuta in famiglia e degli insegnamenti di papà Enrico. Babbo, agente, guida. Lo segue passo per passo lasciandogli, però, la giusta autonomia. Insieme, per esempio, in estate hanno scelto di restare a Firenze e insieme, ora, stanno seriamente pensando ad un nuovo prolungamento. Se ne parlerà nei prossimi giorni, senza fretta, con la consapevolezza di essere nel posto giusto per continuare a scalare il pianeta calcio. Certo, molto dipenderà dalle ambizioni della società. Una Fiorentina senza Europa, per esempio, difficilmente potrebbe permettersi di trattenerlo. Una cosa, è certa: Federico non si è montato la testa. «II legame è sempre forte», racconta Simone Carnevale, uno dei suoi amici di sempre e suo compagno prima nella Settignanese e poi nelle giovanili viola. «Avevamo sei anni quando ci siamo conosciuti, non ci siamo più separati e, anche se oggi lui ha tanti impegni e incontrarsi non è facile, nello scorso giugno ero a Nizza con altri amici e quando Federico lo ha saputo ci ha invitati tutti allo stadio per Francia-Italia. È stata una serata indimenticabile». Come quelle corse a Siena. «Giocavamo nella Fiorentina e, dopo le nostre partite, ci fiondavamo a fare la doccia per andare a vedere la partita di suo babbo». Un augurio? «Che continui ad essere Pepo». Cioè? «Era il suo soprannome, diminutivo di peperino, perché ha sempre fatto impazzire gli avversari». Lo conferma anche Edy Baggio, fratello di Roberto, e allenatore di Fede nel settore giovanile viola. «Mi accorsi al primo allenamento che aveva un tocco particolare e, già allora, era sempre concentrato e attento. Non ha mai sprecato un allenamento nemmeno da ragazzino». Per questo, forse, è diventato così forte. «Non c’è di meglio in Italia», assicura Baggio. Cosa regalare, ad un ragazzo così? «Il regalo deve farselo da solo, rimanendo umile e sorridente com’è sempre stato. Se ci riuscirà niente potrà fermarlo». Lui, nel frattempo, pensa al Torino. Segnare, vincere, e (soltanto allora) festeggiare. E allora, tanti auguri Fede. E cento (magari, in viola) di questi giorni.