«Come si esce dalla situazione attuale della Fiorentina? Facendo sacrifici, ma sempre col sorriso. Tenere il muso non aiuta». Giancarlo De Sisti (per tutti Picchio) è una delle leggende del calcio in maglia viola (capitano del secondo scudetto) e della Nazionale (campione d’Europa nel 1968 e protagonista di Italia-Germania 4-3 ai Mondiali di Messico ’70), un romano innamorato di Firenze. Queste le sue parole a La Nazione:
Come trova cambiata la città?
«Francamente ci vengo poco e per brevi occasioni. In generale direi che è difficile che le città migliorino col tempo».
Tra i vari cantieri in città c’è quello dello stadio, con i lavori che non finiranno in tempo per il centenario (agosto 2026). Giocare in uno stadio con interi settori in rifacimento e quindi con molto meno pubblico, influisce su questa crisi della squadra?
«Mah, quando le cose non vanno bene ti attacchi a tutto. Certo, il calore del pubblico è ridotto, ma non è che allo stadio non ci sia nessuno».
Nel 1970-71, in circostanze diverse, la sua Fiorentina si salvò in extremis, anche grazie al mitico gol di Brizi.
«Noi venivamo dallo scudetto di due anni prima e abbiamo battuto il muso sulle ali dell’entusiasmo. Difficile dare consigli perché quest’anno l’ho vista poche volte e mai dal vivo. Non capisco cosa sia successo, la squadra è buona e Pioli è un ottimo allenatore. Io direi di stare uniti, compatti. Di non pensare alla giocata singola per mettersi in evidenza ma di ragionare sempre come squadra. Aiutarsi, sacrificarsi. Bisogna anche cercare di non vedere le cose più nere di quanto siano»».
Al posto di Pioli si sarebbe dimesso?
«Bisognerebbe essere all’interno per capire se era seguito o se si trovava qualche nemico. Poi la scelta di non dimettersi non ha solo una motivazione legata all’ingaggio. Dimettersi significa certificare la propria sconfitta, il proprio fallimento».
Com’era la Firenze degli anni ’60?
«Più bella, c’era meno caciara. Ma è normale che sia cambiata».
Qual era il posto del cuore suo e di sua moglie a Firenze?
«Intanto le dico una cosa. Mia moglie, romana, mi disse che avrebbe lasciato Roma solo per Firenze»
E per un romano come lei cos’ha significato trasferirsi a Firenze?
«Io ero mammone, a Roma avevo la fidanzata, che poi è diventata mia moglie, gli amici. Mi sono asciugato le lacrime per poi scoprire che quel calore che avevo lasciato a Roma l’avrei trovato a Firenze. Ancora oggi il rapporto con i fiorentini è straordinario, spettacolare».
Non mi ha detto il vostro posto del cuore.
«Senza dubbio piazzale Michelangelo. Quella vista stupenda, ci andavamo spesso».
