Di solito – Trump docet – chi sbandiera il pericolo di fake news per intimorire i giornalisti è la stessa persona che si serve delle notizie false e della propaganda per mantenere il suo potere. Lo scopo è semplice: individuare un nemico comune per distogliere l’attenzione dei sostenitori dalle questioni più complicate. Una strategia vincente nel breve periodo, ma perdente nel lungo. Perché, appunto, la verità è come quel seme che piano piano, nonostante un terreno arido, trova le condizioni per germogliare. L’attacco di Rocco Benito Giorgio Commisso (così fu registrato all’anagrafe di Marina di Gioiosa Jonica il 25 novembre 1949) al mondo dell’informazione è pericoloso per due motivi.
Il primo: scatena una caccia alle streghe (basta dare una rapida lettura ai commenti sui social network) di cui non si sentiva assolutamente il bisogno, soprattutto alla vigilia dell’esordio bis di Cesare Prandelli sulla panchina viola. Il secondo: crea l’ennesimo polverone su questioni — lo stadio in primis — che avrebbero bisogno soltanto di chiarezza dopo gli stucchevoli rimpalli degli anni scorsi. Comisso quando è arrivato a Firenze ha avuto il pregio di rompere le liturgie paludate della politica fiorentina e questo giornale gliel’ha riconosciuto più volte. Ma si è fermato lì. Anzi, sembra averci preso gusto, ha messo da parte il pragmatismo del self-made-man italo- americano, ha impugnato la racchetta ed è subito diventato un campione nel ping-pong delle responsabilità.
E lo ha fatto strizzando l’occhio a quella parte dei tifosi che vive il calcio come una corrida o, come ha scritto Sinisa Mihajlovic nella sua autobiografia, come se si trovasse al Colosseo. La verità, per chi la vuole vedere, è comunque sotto gli occhi di tutti. Cominciamo dal campo: la Fiorentina di Commisso ha cambiato tre allenatori in un anno e mezzo; non ha mai brillato per gioco e risultati; ha lanciato un calciatore del vivaio, Castrovilli, alla ribalta nazionale e un altro, Chiesa, l’ha dovuto vendere dopo un lungo tira e molla; l’acquisto più costoso, Ribery, tranne che in poche partite (si contano sulle dita di una mano) non è mai riuscito a risultare decisivo; il monte ingaggi è salito, ma sul campo i risultati non si sono ancora visti; la Fiorentina non è una squadra ambita dai calciatori come qualche anno fa.
Sulla parte bilanci e infrastrutture il patron viola ha concluso l’iter del centro sportivo di Bagnritmo; ha avuto la sfortuna di investire nel calcio proprio nel momento più complicato, con il Covid che ha spazzato via gran parte delle entrate e quindi dovrà per forza di cose ricapitalizzare con la sua Mediacom (che di contro in questo periodo sta aumentando i ricavi) per non far morire la Fiorentina; sullo stadio ha cercato giustamente la soluzione più conveniente dal punto di vista imprenditoriale, con le sue pressioni è riuscito a ottenere una legge che facilitasse la ristrutturazione dei vecchi impianti, poi però si è impelagato in uno scontro con le istituzioni dai toni inutilmente aspri, più distruttivi che costruttivi e così la soluzione sembra tutt’altro che vicina. Ecco, questo abbiamo raccontato, insieme ad altri organi di informazione, in questi 18 mesi di Commisso a Firenze. Senza utilizzare né cartellini gialli né cartellini rossi (l’informazione non è un gioco che ha bisogno di arbitri), ma raccontando i fatti e cercando di analizzarli, con la forza della libertà, l’ausilio del dubbio e la consapevolezza di poter anche incorrere in qualche errore. Come accade in ogni contesto regolato dalla democrazia. Lo scrive il Corriere Fiorentino.
Mah!
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A Firenze è sempre colpa degli altri.
Ci vorrebbe un “Gianni Letta” accanto al presidente Commisso.