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Chiesa: “Voglio diventare il Totti della Fiorentina. Ecco quando ho capito che avrei fatto il calciatore”

Firenze, stadio Artemio Franchi, 15.01.2017, Fiorentina-Juventus, Foto Fiorenzo Sernacchioli. Copyright Labaroviola.com

Rassegna Stampa

Chiesa: “Voglio diventare il Totti della Fiorentina. Ecco quando ho capito che avrei fatto il calciatore”

Redazione

4 Marzo · 14:06

Aggiornamento: 4 Marzo 2017 · 14:06

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La Nazione ha intervistato Federico Chiesa, queste le sue parole:

“Predestinato non so, credo solo nel lavoro e nell’impegno di tutti i giorni. So che sono migliorato e che dovrò migliorare ancora tantissimo».

Per Astori lei è il giocatore di cui, più di ogni altro, la Fiorentina avverte la mancanza quando non c’è. Un grande complimento.
«In effetti sì e lo ringrazio… Astori è un leader, le sue parole mi hanno colpito. Io ho cercato di allenarmi sempre bene, rubando calcisticamente tutto quello che potevo ai miei compagni».

Secondo Sousa lei diventerà la bandiera e il capitano della Fiorentina.
«Certo che mi piacerebbe essere per Firenze quello che è stato Totti per la Roma… Ma come ho detto prima credo nel lavoro quotidiano, non ha senso parlare di un futuro lontano. E se per un calciatore conta tantissimo la testa, io mi sono sentito un professionista anche quando giocavo nelle giovanili. Dalla scorsa estate sono cambiate le aspettative nei miei confronti, sono diventato titolare in una squadra importante e, se prima quando mi svegliavo mi sembrava di essere in un sogno, ora penso solo ad allenarni bene perché so quanto conti il lavoro».

Un suo ex compagno delle giovanili ha rivelato che già a 15 anni lei si comportava da professionista: insomma, era incorruttibile e anche un po’ noioso…
(ride) «Ah sì, e chi era? In effetti credo che nel nostro lavoro conti molto la disciplina, siamo atleti e dobbiamo aver cura del nostro fisico. Io per carattere sono molto attento ai particolari, ai dettagli, credo che possano fare la differenza».

E’ vero che studia continuamente i filmati degli attaccanti esterni più forti?
«E’ vero che cerco di imparare da tutti. Quando giocavo nella Primavera mi facevano vedere le azioni di Robben e Ribery, non proprio due a caso… Diciamo che ho ampliato lo studio, a casa mi concentro sui movimenti e le intuizioni di tanti altri campioni».

Cosa è stato Sousa per lei?
«Gli sarò sempre grato per il coraggio con cui si è esposto nei miei confronti. Lo considero un genio, ma ovviamente sono di parte. Le sue parole mi hanno aiutato fin da subito a credere di più nelle mie possibilità».

C’è stato un momento preciso in cui ha capito che avrebbe fatto davvero il calciatore nella vita? Una partita, un gol, un episodio particolare dopo il quale si è detto: Federico, ce la puoi fare.
«Beh sì, una sensazione che non dimenticherò mai».

Indoviniamo: il gol segnato in Primavera contro la Juve, il 4-1 con la palla nel sette dopo quaranta metri di corsa.
«Esattamente quello, ma c’è un motivo».

Quale?
«Due giorni prima avevo giocato con la prima squadra a San Siro contro l’Inter, ritornammo alle due di notte e la mattina dopo in treno partii per Torino con la Primavera. E lì giocai al 120 per cento, come sempre, magari qualcuno credeva che avrei potuto tirarmela… E invece no, credo di aver dimostrato umiltà e grande rispetto nei confronti del gruppo, oltreché di me stesso. Qualcuno forse è rimasto sorpreso, per me è stato tutto naturale».

E dopo il 4-1 capì che avrebbe fatto davvero il calciatore.
«Una sensazione strana: tutti quegli abbracci dei compagni, la gioia di aver segnato una bella rete, la contentezza perché avevo dimostrato di essere rimasto sempre me stesso, di non essermi montato dopo aver lasciato la Primavera. Contano sempre la testa. la forza di volontà, il rapporto di fiducia e rispetto che hai con le persone».

Altri suoi compagni nelle giovanili magari avevano talento e si sono persi per strada.
«Vero, ho visto ragazzi che hanno sprecato doti mostruose. Non erano pronti, non avevano la concentrazione che serviva».

Che tipi sono i calciatori?
«Eh, qualcuno ha manìe di protagonismo. Testa, ci vuole testa».

Lei non sembra un tipo da tatuaggi.
«Io? Per carità, E’ una moda che non mi piace, nel mondo del calcio è diffusissima… Con questo, voglio essere chiaro: a me non piacciono i tatuaggi, ma rispetto chi se li fa. Penso a Berna, che ne ha tanti, e mi ha spiegato che ogni disegno per lui ha un significato speciale».

Lei ha un’altra particolarità: è senza procuratore.
«E’ vero, mi ha accompagnato mio babbo quando ho rinnovato il contratto».

Una scelta definitiva?
«Abbiamo preferito fare tutto in famiglia, anche in segno di rispetto per la società. Quando ho firmato l’ultimo rinnovo in pratica non c’è stata trattativa, hanno offerto una cifra e a me è andata bene. Poi per la storia del procuratore, in futuro vedremo».

Il giovane Chiesa un giorno vorrebbe giocare come chi?
«Kakà per me è stato la sintesi di tecnica e potenza, un trequartista inarrivabile. Come esterno mi viene in mente Di Maria. Con il lavoro e l’impegno vorrei arrivare a vincere i loro trofei».

Mica male.
«Credo nella forza di volontà. Per quanto riguarda il ruolo, ho sempre giocato da esterno, anche se contro il Torino ho fatto un po’ anche il trequartista: una posizione da cui si arriva meglio al tiro, ma bisogna saperci stare lì in mezzo»

Suo babbo le ha mai detto che può diventare più forte di lui?
«Eh, dovrei segnare più di 140 reti in serie A. Me ne mancano solo 138…».

Sia serio.
«Gli sono grato perché ha sempre cercato di insegnarmi il giusto comportamento, non parliamo molto di calcio a livello tecnico. Anzi, semmai è lui che mi chiede qualche informazione sui metodi degli allenatori, perché dopo le giovanili spera di avere una possibilità con una prima squadra».

Se gioca con la playstation, sarà un appassionato di Fifa: c’è anche il giovane Chiesa fra i calciatori emergenti.
«Sì sì, lo so. Fino all’anno scorso giocavo facendo finta di essere Tello, ora posso prendere me stesso. Anche se sono ancora indietro, dovrò migliorare anche a Fifa. Ma con l’impegno ce la potrò fare».

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