Correva “sulla fascia lateral” e lì è come rimasto, almeno nell’immaginario del popolo fiorentino. Così come la sua corsa, cucita sotto pelle, batte ancora nei cuori che palpitano per il viola. Perché Daniele Carnasciali da San Giovanni Valdarno – uno dei simboli della Fiorentina di Cecchi Gori anni’90 capace di discese ardite (ne parleremo) e di risalite (per fortuna) – aveva il volto pulito del giocatore onesto e garbato. Parliamo con lui del momento funesto in casa viola.
Carnasciali, lei ha vissuto la folle stagione del 1992-93 con la Fiorentina che scivolò negli inferi della Serie B dopo essere stata, a Natale, quasi in vetta alla classifica. Vede qualche analogia tra quella stagione e l’attuale?
«Francamente no. Alla fine del girone di andata eravamo addirittura terzi, poi nel ritorno andò tutto male. Quella non era una squadra abituata a lottare per non retrocedere».
Forse neanche questa.
«Parliamoci chiaro, sono passate soltanto dieci giornate di campionato, c’è tutto il tempo per risalire. Certo è che non bisogna perdere altro tempo. Ora poi la squadra non ha più alibi».
In che senso?
«Il direttore sportivo si è dimesso, l’allenatore non c’è più… E anzi le dirò di più».
Prego.
«Se ora dovessero arrivare all’improvviso tutti risultati positivi io qualche domanda inizierei a farmela. Sul perché solo ora…».
Mettiamo da parte la classifica che è ancora rimediabilissima. Quello che sembra turbare di più l’ambiente è il silenzio che regna al Viola Park. Ai suoi tempi Cecchi Gori, magari con toni talvolta sopra le righe, si faceva sentire…
«Il calcio è cambiato proprio in generale. Quando giocavo io ci allenavamo ai ‘campini’, accanto allo stadio, e dopo ogni seduta passavamo in mezzo ai tifosi. Quindi se avevi vinto la domenica bene, altrimenti te ne dicevano di tutti i colori… Però, intendiamoci, non è il problema che ora la squadra sia come dire isolata dentro il Viola Park, lo stesso per dire accade a Trigoria a Roma o ad Appiano Gentile. Non siamo tenuti a sapere cosa avviene dentro il centro sportivo».
E qual è allora il punto?
«Il punto è che una società così, che già nel suo cammino ha avuto delle difficoltà, deve sapere comunicare con l’esterno. Ci vogliono figure chiave. Persone giuste che parlino al momento giusto».
Nella sua Fiorentina c’erano leader in grado di farsi sentire nello spogliatoio quando le cose non andavano. Batistuta, Toldo, Rui Costa, lei stesso. E oggi?
«Sinceramente non ne vedo uno. Dico una cosa: serve uno zoccolo duro di calciatori italiani. E non perché siamo migliori degli stranieri ma perché, anche se le bandiere non esistono più, hanno un approccio diverso. Gli stranieri sa, vanno nelle rispettive nazionali, poi tornano… Magari vengono ceduti. Non è un caso che le squadre che vanno bene ora quello zoccolo duro ce l’hanno. Pensi all’Inter di quest’anno…». Lo scrive La Nazione.
