Gudmundsson decisivo con la sua nazionale, anonimo nell’attacco di Pioli: il rebus di Firenze
Due gol in novanta minuti con la maglia dell’Islanda: un tuffo di testa da centravanti puro e un sinistro secco che ne certificano tecnica e freddezza. Albert Gudmundsson continua a brillare con la sua nazionale, ma alla Fiorentina è tutt’altra storia. Appena lascia Firenze ritrova leggerezza, sicurezza e concretezza.
La domanda allora è inevitabile: perché esplode in nazionale e si spegne in viola? La risposta va cercata nel contesto. La Fiorentina, oggi, non gira: i meccanismi offensivi sono lenti, le distanze tra i reparti si allungano, la rifinitura è sporca. In un sistema che fatica, anche i singoli pagano dazio, e un talento come Gudmundsson finisce per ricevere palloni complicati, spesso spalle alla porta, lontano dalle sue zolle migliori.
C’è poi la chiave tattica mai davvero trovata. Pioli lo ha usato a tratti da seconda punta, a tratti tra le linee, ma più come pedina di equilibrio che come creatore libero: compiti di pressione, raddoppi, corsie da presidiare. Così il suo calcio, fatto di libertà, ricezioni tra le linee e strappi nei mezzi spazi, si è “ingabbiato” dentro il non-gioco di una squadra che produce poco. Il parallelo con Kean è istruttivo: dominante con l’Italia, solo domenica con la Roma il primo gol in viola. Segno che il problema è collettivo prima che individuale.
La soluzione? Svincolarlo. Dargli licenza di svariare tra seconda punta e trequarti, responsabilizzarlo come leader tecnico e primo terminale della rifinitura. Servirlo prima e più in verticale, costruire combinazioni dedicate (scambi corti, uno-due sul lato forte), alleggerirgli i compiti difensivi nei momenti chiave. Con più libertà — e una squadra finalmente a regime — Gudmundsson può tornare “giocatore che fa calcio”, come in nazionale, dove brilla anche con compagni meno dotati tecnicamente. A Firenze, tocca a Pioli accendere l’interruttore.
