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De Zerbi ed il fallimento del Brescia: “Ho provato le stesse cose di Viviano quando falli la Fiorentina”

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De Zerbi ed il fallimento del Brescia: “Ho provato le stesse cose di Viviano quando falli la Fiorentina”

Redazione

12 Giugno · 20:37

Aggiornamento: 12 Giugno 2025 · 20:37

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Roberto De Zerbi si è raccontato in una lunga intervista a Cattellan, dal Marsiglia fino al fallimento del Brescia e non solo

Il secondo posto in campionato con il suo Olympique Marsiglia, il giudizio sulla penuria tecnica della Nazionale italiana e il concerto di Vasco Rossi preferito alla finale di Champions League. Non è mai banale Roberto De Zerbi davanti ai microfoni e l’ex giocatore del Brescia parla senza filtri a Supernova il podcast di Alessandro Cattelan. «In questo momento sono in vacanza, ma io e la società stiamo programmando la prossima stagione. C’è una connessione con il direttore sportivo ed è chiaro a entrambi cosa ci serve. Poi abbiamo definito il budget, ci confrontiamo molto con il diesse su singoli profili dei giocatori da acquistare, a volte gli spunti partono dal sottoscritto a volte è il contrario. Inoltre abbiamo uno scout che lavora per me dentro il Marsiglia».

Da tifoso interista, il conduttore Rai stimola De Zerbi a esprimere un giudizio sul suo ex calciatore Luis Henrique neoacquisto nerazzurro. «È un bravo giocatore. Se riesce a capire San Siro e a gestire le tre partite settimanali che a oggi non ha giocato, è un bell’acquisto. Ha forza fisica, qualità tecniche ed è un bravo ragazzo. Purtroppo, eravamo costretti a fare una cessione di questo tipo, era concordata ma non siamo partiti benissimo». Peraltro, il conduttore del podcast ricorda come l’attaccante classe ’01 abbia definito De Zerbi il migliore allenatore che abbia avuto. Tale giudizio inorgoglisce il tecnico bresciano che definisce il proprio modus operandi: «Il calciatore non ha bisogno di un allenatore. L’allenatore deve mettere ogni componente del gruppo nelle migliori condizioni per esprimersi e avere fiducia. Henrique è un brasiliano di Rio, ha bisogno di maggiore affetto rispetto agli altri. Infatti, non per tutti i giocatori servono le stesse chiavi di accesso, vanno utilizzati atteggiamenti diversi».

Tre sono i valori imprescindibili per l’ex giocatore del Brescia: il rispetto nei confronti dei dirigenti, l’empatia verso i componenti della sua rosa e verso i tifosi della squadra. «Io voglio capire le sensibilità diverse dei giocatori, poi leggo tanto. Non voglio piacere a tutti. Ma con i giocatori voglio entrare in empatia, io sento il dovere nei confronti dei calciatori e del pubblico». Proprio il legame con gli ultras è fondamentale: «Da bambino andavo in curva e quei valori legati al rispetto della maglia e all’impegno me li porto ancora dentro». Quindi anche un altro giocatore simbolo dell’OM, Mason Greenwood, ha conosciuto l’empatia di De Zerbi. «Con il capocannoniere della Ligue1 e numero dieci della nostra squadra, Mason Greenwood, abbiamo parlato due volte in tutta la stagione. Soltanto in due occasioni si è aperto e mi ha fatto capire che dietro la maschera c’è una persona molto sensibile. Così i momenti di difficoltà, li ho gestiti con suo padre che è una persona spettacolare. Se un giocatore non mi dà apertura, non voglio forzare la mano. Ognuno ha la propria sensibilità e va rispettata»

L’allenatore dell’OM non è convenzionale, il calcio sovrasta la dimensione tattica, tecnica e persino emotiva, abbraccia anche la sfera culturale. «A Sassuolo quando morì Maradona feci trenta minuti di spiegazione ai miei giocatori su chi fosse Maradona e cosa rappresentasse. Mi andava che i miei giocatori conoscessero la sua figura. Lo stesso è accaduto quando è morto Papa Bergoglio che mi piaceva come persona. Io sono cattolico, non sono praticante e sono un peccatore. In quei giorni mi trovavo a Roma con i giocatori mi andava di trasmettere il mio pensiero o quello che penso di aver capito di Bergoglio».

La schiettezza del tecnico dell’OM non sempre trova la giusta sintonia con la stampa italiana. «Dopo due anni di silenzio, questa è la prima intervista a cui mi concedo in Italia. Io sono caduto nella rete di una diatriba tra “mio fratello” Lele Adani e un gruppo di giornalisti italiani. Un giornalista importantissimo italiano, con cui mi sono chiarito, mi ha detto che mi aveva attaccato per colpire Adani. Mi ha dato fastidio perché Adani non parla per conto mio e viceversa, ci troviamo d’accordo su tante cose ma non su tutte. Da quel momento ho scelto di chiudermi». Quindi l’etichetta di allenatore «giochista» non va a genio a De Zerbi: «Mi hanno fatto passare per quello che non sono quando parlano di me come “filosofo”, integralista. A dieci minuti dal termine se possono inserire due portieri per difendere il risultato, lo faccio volentieri. Io lavoro per vincere ho una mia idea per raggiungere il risultato: non esistono più gli schemi, esistono principi di gioco. A Brighton, a Sassuolo ho giocato con la difesa a cinque alta. Ora alcuni di questi concetti di gioco sono ripresi da altri allenatori».

De Zerbi e il «fallimento» del Brescia: “È una cosa invivibile. Quando la squadra andava in ritiro il giorno prima di una partita io ci andavo due giorni prima. Le pressioni sono altissime perché ricevi mille telefonate e le persone vogliono che tu trasmetta quel senso d’appartenenza alla squadra. Le stesse cose le ha vissute un altro mio amico, Emiliano Viviano, quando ha giocato nella Fiorentina. Lui mi ha detto le stesse cose. Non è la categoria che conta quando giochi per la squadra della tua città ma è la pressione che senti quando la indossi. Io ci ho pensato quando mi chiamarono dal Brescia. Ho accettato togliendomi soldi e tutto ma a distanza di anni ho capito di aver fatto bene. Sarebbe stato un rimpianto grandissimo non aver mai giocato a Brescia”.

Questo invece un passaggio sulla sua amicizia con Daniele De Rossi, accostato in queste settimane anche alla Fiorentina e tutt’ora in cerca di panchina: “Siamo amici e poco tempo fa ha rilasciato una bellissima intervista al Corriere della Sera citando sua mamma. Gli ho mandato un messaggio dicendogli che volevo conoscerla. Le nostre figlie sono molto amiche perché studiano assieme a Londra. Mi piace molto come persona, come allenatore e per come comunica. Il mio modo di comunicare la scorsa settimana mi ha dato una soddisfazione grandissima. A Foggia, una città alla quale sono legatissimo perché ho fatto tre anni da giocatore e tre da allenatore durante i quali ho vinto una Coppa Italia di Serie e perso una finale playoff ho avuto la soddisfazione più grande che potessi avere che è la cittadinanza onoraria. Quel giorno ero molto emozionato e mi sono chiesto se dovessi comportarmi come mi sono sempre comportato o meno. Quando poi ricevi un premio simile e una città intera ti riconoscono un affetto simile e ti considerano un amico è un qualcosa d’impagabile. Mi danno di filosofo o dell’ingestibile viene annullato da un premio simile da una città con problemi sociali grandissimi ma anche tanta brava gente”

Niente finale di Champions League per De Zerbi che ha preferito godersi il concerto di Vasco Rossi in compagnia della figlia. «Ero al concerto di Vasco Rossi con mia figlia. Quando c’è un’intervista o un concerto di Vasco si ferma tutto. Ho tre tappe di Vasco Rossi all’anno con mia figlia, la prossima è Bologna. Vasco mi fa emozionare più del calcio, mi fa pensare. Ho tatuata la faccia di Vasco Rossi ma non voglio conoscerlo. Ai tempi del Sassuolo mi hanno chiesto se volessi incontrarlo, ho rifiutato perché non voglio rimanere deluso. A volte capita di conoscere i propri idoli e di trovarli introversi. Per questa ragione io cerco di essere sempre disponibile nei confronti di tutti anche quando non ho tempo. Mi dà fastidio deludere i fans». Quindi la rivalità con Ligabue: «Non odio Ligabue, è un grande artista, ma Vasco è di un altro livello. Ai concerti mi emoziona la reazione del suo pubblico. Basta che lui dica “E” e la gente esplode». In contemporanea, la squadra nerazzurra naufragava contro il Psg: «Il 5-0 è un risultato strano ed è da analizzare perché non ci stanno cinque reti di scarto tra le due squadre. Però l’Italia calcistica (non l’Inter) è stata presuntuosa nei confronti dei parigini. Non conoscevano Désiré Doué che è come Yamal, non è così determinante ma ha una classe pazzesca. Vitinha è il centrocampista più forte al mondo, Joao Neves è pagato tanti soldi e proviene dal Portogallo. Il Psg ha passeggiato con il Liverpool, ha combattuto con l’Aston Villa, un’altra grande squadra guidata da un tecnico di livello. Pensate che i giornali italiani non hanno scritto una riga del nostro secondo posto dietro il Psg».

Il 3-0 contro la Norvegia non sorprende l’allenatore dell’OM. «Da italiano all’estero, questo risultato fa ancora più male. È una parte di storia che facciamo fatica a sfornare giocatori di livello. Si sta sbagliando, sicuramente non è colpa degli allenatori in panchina. Non è il tempo di Totti, Del Piero, Di Natale, Miccoli dove c’era l’imbarazzo della scelta. Ora questa situazione la stanno vivendo gli altri Paesi come la Francia e Spagna. Invece l’Italia ha qualche giocatore forte come Barella, Bastoni, Tonali, Locatelli però fa fatica a sfornare giocatori di livello. Il livello è basso e la colpa è di tutto il sistema, anche mia». Quindi l’epilogo amaro contro la Norvegia non è casuale: «Riguardo la mentalità, i giocatori non hanno dato tutto, ma anche questo fa parte del livello dei singoli. Il campionato è finito l’altro ieri, i calciatori si sono trasferiti in Norvegia con un altro clima e altri campi. Poi la Norvegia è una squadra forte, ha giocatori che l’Italia non possiede come Haaland, Odegaard e Nusa. Resettare il campionato, la finale di Champions League persa non è per tutti».

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