Si fa presto a dire giovani. Oddio, forse è facile dirlo, ma un po’ meno vederli giocare. Ci vuole tempo, evidentemente. E molto coraggio. E poi il termine giovane è un po’ vago. Federico Chiesa a diciannove anni ha la testa già pronta per il calcio dei grandi, dove non contano solo la freschezza atletica e l’entusiasmo, ma anche il cervello. Lui è un talento che non ha dovuto aspettare. Certo, ha avuto anche i suoi maestri, altro passaggio fondamentale per un ragazzo che vuole crescere.
Un padre ex calciatore di spessore, una madre che ha insistito che studiasse perché non era affatto detto che un cognome bastasse a farlo diventare un professionista, Kurt Hamrin (scusate se è poco) a dargli le prime lezioni di calcio sui campi della Settignanese, e Paulo Sousa che ha lavorato con costanza sulla sua crescita, anche quando aveva l’entusiasmo di un cammello al polo nord disegnato in faccia. E Chiesa rappresenta bene il cosiddetto progetto, ed è anche un salvagente per una società che naviga un po’ a vista, ma col suo rinnovo (obbligato), blindature mediatiche e rifiuti (obbligati anche quelli, per ora) davanti a offerte per il gioiello cresciuto in casa, riesce a farsi bella a costo più o meno zero. Ma poi ci sono gli altri giovani…
Benedetto Ferrara, La Repubblica