Non è stato facile, per Edoardo Bove, dare un netto taglio al passato. Per lui, nato nel quartiere dell’Appio Latino e cresciuto nel mito di Totti, salutare Roma e la Roma è stato tutt’altro che semplice. Eppure la Fiorentina, per il classe 2002, ha sempre rappresentato una priorità assoluta. Perfino più allettante rispetto ai ricchi ingaggi che Eintracht e Nottingham Forest erano pronti a garantirgli: «E sapete perché? Perché qui c’è un progetto unico nel suo genere: c’è tutto per potermi togliere grandi soddisfazioni. Basta vedere il Viola Park: un posto così c’è solo in Premier» ha raccontato con gli occhi sgranati.
A dispetto della carta d’identità, Bove sa di essere in un momento cruciale della sua carriera: «Tanti non hanno visto tutte le potenzialità che ho: penso che quel soprannome di «cane malato» che mi diede Mourinho sia stato per me limitante e spero tanto che i tifosi possano darmene un altro. Rido quando sento dire che sono giovane: sono tutt’altro. Anzi, sono consapevole di essere in un’età in cui sono chiamato a dimostrare qualcosa in più per meritarmi certi palcoscenici». Una frase quasi da veterano, compensata però anche dall’umiltà tipica del ragazzo dalla faccia pulita, com’è quella di Bove.
«Voglio mettermi in gioco e fare più partite possibili: la Fiorentina in questi anni è cresciuta tanto ma i successi non arrivano subito» ha chiarito: «Due finali a livello europeo vogliono dire tanto: certo, fa male perdere ma quando arrivi lì in fondo c’è sempre un motivo. E noi abbiamo una rosa che può competere fino all’ultimo in tutte le competizioni». L’impatto in campo, nel frattempo, è stato più che positivo: la rimonta nel finale con il Monza e la rete siglata con l’Under-21 sono stati bei biglietti da visita per i tifosi: «Mi piace molto il tifo viola, al Franchi ho subito avvertito una pressione speciale. È ciò che mi serve per fare bene». Lo scrive La Nazione
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Mandragora e Biraghi in vantaggio su Adli e Pongracic per giocare titolari contro l’Atalanta
