Doveva essere il fiore all’occhiello di una squadra che puntava in grande, anzi in grandissimo. E vedendo i nomi, ripensando a quest’estate, veniva facile sognare: Albert Gudmundsson, Edin Dzeko, Moise Kean, Roberto Piccoli. Un quartetto che, sulla carta, aveva tutto: classe, esperienza, potenza, atletismo. Un poker d’assi dal valore di cento milioni (se pensiamo alle valutazioni di mercato fatte qualche mese fa, con tanto di clausola di 62 milioni per Kean). Un reparto che aveva nel roster il vice-capocannoniere dell’ultima Serie A e che aveva aggiunto un attaccante classe 2001 da doppia cifra e uno da più di 450 reti nel curriculum. L’esempio Fiorentina è risultato invece l’ennesima prova che il calcio non si fa con le figurine: perché una volta messi insieme quattro calciatori dalle indubbie qualità, c’è da posizionarli in campo, trovare una chimica e una complementarità. Missione, a più di tre mesi dalla fine del mercato, tutt’altro che c’entrata dalle parti del Viola Park. Lo riporta il Corriere dello Sport.
