
«Sono arrivato nel giugno 1972, avevo 18 anni. Mi misero in un albergo sul lungarno Colombo. Era una Firenze meno frenetica di quella di oggi, mi ha subito colpito la sua bellezza, sin da quando ci venivo con la Nazionale giovanile». Giancarlo Antognoni, umbro di Marsciano, apre il cassetto dei ricordi per tornare all’inizio del grande amore (ricambiato) per Firenze, a 50 anni dal suo esordio in serie A con la maglia della Fiorentina. Era il 15 ottobre 1972, in Verona-Fiorentina 1-2. Da qui parte una splendida carriera (anche se poco vincente e con un po’ di sfortuna) di uno dei grandi talenti del calcio. E comincia qui un grande amore che dura tuttora.
Il primo impatto con i fiorentini? «Mi sono sentito subito accolto nel modo giusto. Si sa che la gente di Firenze è un po’ restia, prima di farti prendere a ben volere devi dare qualcosa. Io, invece, ho avuto subito la sensazione di essere accolto bene». Cosa ricorda di quel giorno a Verona? «Già in settimana sapevo che avrei dovuto giocare al posto di De Sisti. E’ stata una settimana molto lunga. Arrivare a Firenze come giocatore della Primavera e trovarmi a essere buttato nella mischia per giocare in serie A è un bel salto. Una settimana vissuta intensamente, soprattutto dal giovedì quando Liedholm mi disse che sarebbe toccato a me».
Emozionato? «Sì, arrivavo da Asti e dalla D e quel salto non l’avevo previsto in quel momento». E quando è cominciata la partita l’emozione è sparita o è rimasta? «Per un po’ è rimasta. Poi grazie ai compagni, soprattutto a Merlo, ho giocato tranquillo e alla fine è andata bene perché abbiamo vinto». E’ andata talmente bene da essere definito «il ragazzo che gioca guardando le stelle». Che effetto le fece? «Mi fece piacere, certo. Quella definizione coglieva una mia caratteristica, giocare con il pallone tra i piedi e la testa alta. Una cosa che mi è sempre rimasta». Come l’accolsero i «vecchi» della Fiorentina? «A quei tempi i nuovi arrivati dovevano subire le gerarchie, ma mi hanno accolto bene. Certo, c’era molto rispetto da parte mia. Ero arrivato da poco e mi misero in camera con De Sisti». Però… con un campione d’Europa, d’Italia e vice campione del mondo, chissà che emozione… «Infatti… all’inizio praticamente non mi muovevo dal letto per non dare noia». E De Sisti come l’accolse? «Benissimo, mi mise a mio agio». Altro esordio storico quello in Nazionale: Bernardini la fece debuttare in Olanda-Italia del 20 novembre 1974. Un’altra grande emozione anche se vinsero i tulipani. «A 20 anni ho avuto la chance di giocare in Nazionale contro una squadra che all’epoca era considerata quasi imbattibile con Cruijff, van Hanegem, Neeskens». Fece anche l’assist per Boninsegna e segnò un gol da 40 metri annullato per un fallo molto dubbio. Che effetto fu quello di trovarsi di fronte Cruijff? «Bello perché mi fece i complimenti in un’intervista. “Ho visto un ragazzo molto interessante“ disse». Ha avuto una carriera straordinaria: amatissimo in viola, campione del mondo, ma a Firenze ha vinto poco. Non è pentito di non essere andato altrove? «No, perché l’amore dei tifosi viola e di Firenze mi ripagano di tutto. Di certo avrei preferito vincere lo scudetto nella Fiorentina invece del Mondiale».
In Nazionale il blocco Juve la boicottava? Ora si può dire… «No, non mi boicottavano, ma è chiaro che con i “blocchi“ era difficile potermi inserire, ma devo ringraziare Bearzot che ha sempre creduto in me. Gli sarò sempre riconoscente, mi ha sempre fatto partire titolare, anche se poi mi ha sostituito una ventina di volte». Il momento più brutto e il più bello della sua carriera? «E’ racchiuso in una sola stagione: l’81-’82». In che senso? «In quella stessa stagione ho vissuto il brutto dell’infortunio alla testa quando ho rischiato di morire, il bello del rientro in campo, il brutto di aver perso lo scudetto all’ultimo, il bello di aver vinto il Mondiale, il brutto di non aver potuto giocare la finale per infortunio».
Torniamo a Firenze: il suo luogo del cuore? «Fiesole perché la vedevo sempre dalla mia casa di San Domenico e mi piaceva andarci spesso a vedere Firenze dall’alto». Come sono i fiorentini? «Esigenti e spigolosi» Anche lei è diventato spigoloso? «Sono diventato cattivo, perché ero troppo buono. A forza di prendere botte son diventato più cattivo». Cosa si sente di dire ai fiorentini? «Che io e la mia famiglia li ringraziamo per quello che hanno dato a livello sportivo e umano» E i fiorentini ringraziano lei.. «Sì, per quello che ho fatto e perché a differenza di altri come Baggio, Rui Costa e Batistuta, io sono rimasto». Lo scrive La Nazione.
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