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Cecchi Gori: “Fatto fuori da giochi di potere di Berlusconi, stavo per vincere lo scudetto con la Fiorentina”

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Cecchi Gori: “Fatto fuori da giochi di potere di Berlusconi, stavo per vincere lo scudetto con la Fiorentina”

Redazione

11 Ottobre · 15:27

Aggiornamento: 11 Ottobre 2023 · 15:31

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Vittorio Cecchi Gori, ex proprietario della Fiorentina, ha parlato a La Verità, queste le sue parole:

Lei è diventato anche un imprenditore televisivo, acquistando Videomusic e Telemontecarlo. Qual era la sua visione strategica in questo ambito? «Io volevo difendere il cinema e soprattutto volevo avere la possibilità, se mi mettevano in un angolo, di poter vendere io stesso i diritti dei film ad altre emittenti. Se non c’era nessuno che me li comprava, sarei morto. Andando avanti, mi sono reso conto che il futuro non era neanche quello, ma sarebbero state le piattaforme».

Temeva che le reti Mediaset non comprassero più i suoi film? «Era il contrario: era Berlusconi che veniva a cercare i film da me, però evidentemente con un solo acquirente, per quanto potessi avere con lui i migliori rapporti possibili, la strozzatura di mercato era inevitabile» .

Quindi ha cercato di creare un terzo polo televisivo per avere un altro bacino per la vendita dei diritti dei film? « Certo » .

Non le interessava fare l’imprenditore televisivo e creare nuovi programmi? «Non mi è mai piaciuto fare la televisione, però come tutti gli uomini di spettacolo me la cavavo piuttosto bene, anche perché in Italia ci vuole poco a fare meglio. Ho portato nel nostro paese Sex and the City. Mi chiamò un cardinale che conoscevo per chiedermi di spostare l’orario di programmazione e lo feci mandare in onda a mezzanotte. La televisione ha un grave limite: con le news entra in gioco la politica. Allora meglio fare il proprietario di un giornale: ti deve piacere un altro tipo di direzione che non è quella del grande produttore cinematografico» .

È stato un errore buttarsi nel campo televisivo? «È stato un errore perché ho messo paura agli altri» .

E comprare la Fiorentina? «L’ho comprata per caso, ma l’ho gestita per passione. L’ho fatto anche bene, si stava per vincere lo scudetto, però, quando mi hanno voluto attaccare, hanno colpito anche su questo fronte perché mi sono battuto per far crescere il valore dei diritti della serie A, anche in funzione delle vendite all’estero. Con i diritti del calcio e i diritti dei film ero in una posizione di forza e venivo ovviamente osteggiato»

Era entrato anche in Tele+, la prima pay tv, che ha preparato la strada alla situazione attuale con il passaggio dello spettatore da semplice utente ad acquirente di pacchetti. «Tele+ era una televisione a pagamento. Poi Internet ha chiuso il cerchio dal punto di vista tecnologico e con lo sfruttamento e con le piattaforme ha ricreato l’identità di un film perché lo spettatore può selezionare in qualunque momento quel determinato titolo. È una library cinematografica a disposizione dell’utente».

Quando ha conosciuto Berlusconi, suo socio a Tele+ e nella Penta Film, che impressione le aveva fatto? «Prima era diventato molto amico di mio padre. Per far capire il tipo di rapporti che abbiamo avuto, mi invitò alle Bermuda sul suo aereo privato e dormimmo insieme su un divano letto! Da un punto di vista imprenditoriale era bravissimo, il problema è stato quando è entrata la politica nella televisione, e quindi anche di riflesso nel cinema, perché a quel punto la politica ha rovinato tutto».

Anche dentro Mediaset? «Sì. certo. Berlusconi è stato obbligato a fare una televisione sempre più appetitosa dal punto di vista delle news ed è diventato ostaggio della politica, senonché è stato talmente bravo che si è preso tutto lui» .

Qual era la strategia della Penta Film? «Era nata per fare i film assieme perché finché si stava assieme non si sarebbe litigato. Significava poter vivere in questo contesto con una major che dominava il mercato dei diritti televisivi. Poi hanno mandato a casa Cecchi Gori, anzi non solo me, che non ha alcuna importanza, ma l’intero cinema italiano».

Perché vi siete divisi? «Hanno deciso loro, non solo Berlusconi, soprattutto le nuove generazioni in seno alla sua famiglia: “I film, se vogliamo, ce li facciamo da soli e non abbiamo bisogno di nessuno”, che poi non è stato vero perché i film bisogna saperli fare. Non credo che Berlusconi ce l’avesse con me».

Lei sarebbe andato avanti? «E certo. Non avevo via d’uscita » .

Come socio Berlusconi era ingombrante? «Finché si faceva il cinema no, perché lui rispettava chi sapeva fare bene questo lavoro. Poi sono diventati troppo grandi gli interessi e sono stato trascinato dagli eventi».

Forse aveva ragione suo padre a fare solo il produttore cinematografico… «Il produttore sì, ma poi si devono vendere i diritti alle televisioni. Anche mio padre ha beneficiato della vendita dei film alle emittenti » .

Alla fine per essere arbitri del proprio destino era meglio comprare delle reti televisive… «Altrimenti si andava a casa».

Un processo inevitabile. Suo padre ha fatto in tempo a capirlo? «Sono entrato più io nell’agone di questa logica. Era una guerra mia».

Cosa ha provato quando è morto Berlusconi, al quale era legata, nel bene o nel male, una parte della sua avventura professionale? «Sono morto anche io! Alla fine queste vicende hanno messo a soqquadro anche la mia vita. Berlusconi mi lasciò in braghe di tela il giorno prima delle riprese di Seven e il film non partì. Lo spunto era mio, poi il progetto lo comprò la New Line e cambiò rispetto a quello che avevo pensato io. Glielo dissi: “Noi chiudiamo la società nel momento in cui stavamo per produrre un film che avrebbe guadagnato trecento milioni di dollari”».

Ha rimpianti per altri film non realizzati? «II cinema è fatto di rimpianti per film non fatti… poi ci sono anche i rimpianti per i film fatti! Un film che avrei tanto voluto fare è C e n t’anni di solitudine. Doveva dirigerlo, su mio suggerimento, Peppino Tornatore, ma non piaceva a García Márquez, del quale sono diventato amico». Ci furono tentativi con altri registi? «No, perché García Márquez voleva che lo dirigessi io. Gli dicevo: “Ma non è il mestiere mio!”».

Un film che non avrebbe dovuto fare? «No, questo non si dice».

È tornato a vivere nella casa dei suoi genitori… «Mio padre la comprò proprio quando fece Il sorpasso. Io avevo vent’anni e lui quarantadue: non c’era una grande differenza d’età tra di noi. Da allora in poi siamo andati avanti assieme. Sento molto la sua mancanza, tra queste mura ancora di più».

Ha in mente altri progetti? «Progetti ne ho sempre, sia per film internazionali, sia per commedie. Fanno parte della mia vita: mi vengono in mente, vanno via… Il mio grande sogno adesso è creare una piattaforma Cecchi Gori, anche in ricordo di mio padre, dove poter vedere tutti i film da noi prodotti in più di cinquant’anni di attività, accompagnati da mie presentazioni con ricordi e aneddoti. Ne trarrebbe beneficio tutto il cinema italiano perché il nome Cecchi Gori è conosciuto in tutto il mondo. I pochi marchi storici che abbiamo nel nostro cinema andrebbero valorizzati: come ci sono le piattaforme Disney e Paramount perché non ci devono essere piattaforme specifiche in cui mostrare i nostri capolavori?».

Tra gli attori, registi, sceneggiatori che hanno lavorato per lei, qualcuno le è stato vicino durante le sue vicissitudini giudiziarie? «La riconoscenza è un libro che ancora deve essere scritto».

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