Francesco Farioli, prima alternativa di Pioli alla Fiorentina e ora tecnico del Porto, ha rivelato al Corriere alcuni retroscena sulla sua scelta di volare in Primera Liga e iniziare un nuovo percorso ancora lontano dall’Italia.
“De Laurentiis ha voluto conoscermi dopo l’esonero di Garcia, abbiamo parlato, è stato molto gentile”. Ha proseguito: “Futuro in Serie A? Spero continui a esserci grande calcio, e dunque non escludo certo l’Italia. Ma staccarsene è stato fondamentale per saltare la parte in cui ti dicono che sei troppo giovane”.
L’intervista è poi proseguita e Farioli ha toccato molti altri temi, a partire dall’esperienza all’Ajax:
“All’inizio di aprile il mio Ajax guida l’Eredivisie con 9 punti sul Psv. Sembra fatta. Il telefono non smette di squillare, potrei scegliere fra Premier, serie A, Liga, e parlo di club qualificati alle coppe. Perfino l’Arabia Saudita. Un mese dopo, il tracollo in campionato ha tolto il mio numero dalle agende. Qualche sondaggio in Italia da parte di piccoli club, ma niente di concreto”.
Ha proseguito:
“Come ho fatto a perdere quel campionato? Molta parte della risposta è indicibile, nel senso che se io le cito otto pali in due partite, i gol subiti in fondo ai recuperi e altre incredibili circostanze, lei mi ribatte che a questi livelli non ci si può appellare alla sfortuna, e ha ragione. Quindi aggiungo una certa stanchezza, e l’arroganza tipica di un club dominante come l’Ajax. Io non sono per niente scaramantico, ma in quei giorni sarei dovuto girare con corna, quadrifogli e coccinelle tanto si parlava apertamente di feste, premi, sfilate. Soltanto io ripetevo il mantra che non è mai finita finché non è finita, e quindi cosa vuole che le dica? Me la sarò tirata”.
Dopo 4 giornate il Porto è in testa a punteggio pieno, e ha appena vinto in casa dello Sporting campione. La solita partenza alla Farioli:
“Stavolta ci terrei a cambiare l’arrivo, ma sì, siamo partiti bene com’era successo a Nizza e ad Amsterdam. Sono abbastanza veloce a entrare in un ambiente nuovo e a portarci entusiasmo, studio il contesto, mi presento con un piano e sono flessibile nell’aggiustarlo. E poi mi capita di legare subito con i giocatori più esperti, Dante a Nizza, Henderson all’Ajax”.
L’inizio dell’avventura di Farioli da allenatore:
“A 22 anni l’allenatore mi disse “sei un portiere troppo scarso per continuare, ma secondo me potresti restare nel calcio in un altro ruolo”. Sarebbe bello poter maledire un infortunio, com’è successo ad altri che hanno iniziato presto, Tuchel, Nagelsmann. Ma non c’è: sempre stato benissimo. Però l’idea di allenare mi conquistò in fretta e sono bravo a imparare. Ho preso da ogni esperienza, all’inizio ero un po’ talebano sul discorso giochisti, poi mi sono liberato da certe ottusità. Ora cerco di rendermi complementare”.
Che significa?
“La cultura dell’Ajax è un calcio posizionale freddo e ordinato, una religione, io ho aggiunto spirito di gruppo e gusto per la battaglia. La cultura del Porto è quasi carnale: sacrificio, scivolate, pubblico in fiamme, e io sto dando un po’ di giocate codificate per rendere lo spettacolo più arioso e rotondo. Al Nizza chiesi una mezzala tecnica, un mix tra un 8 e un 10, e i giornalisti ironizzarono sulla mia tendenza iper-offensiva, all’Ajax proposi un paio di giocatori capaci di reggere gli urti, e dissero il solito italiano difensivista. Lavoro sui contrasti, cerco di riempire i vuoti. La migliore identità è non averne una immutabile”.
Ha continuato:
“Mi ha sbalordito Luis Enrique. A Parigi a un certo punto abbiamo un calcio piazzato, io ordino uno schema che avevamo provato soltanto una volta in un’amichevole estiva, lui vede i primi spostamenti e salta dalla panchina per mettere i giocatori sull’avviso, “stanno facendo la cosa che vi ho mostrato!”. Una volta, in un’amichevole, e lui la conosceva. Un tempo campavi mezza stagione su una buona idea tattica, adesso te la disinnescano nel cooling break”.