Sembrava un rigore come tanti, il genere di episodi che si archiviano in un lampo specie di fronte al momento delicatissimo che sta vivendo la squadra viola. E invece il 9′ di Sassuolo-Fiorentina è servito solo ad aprire un’altra crepa profonda, l’ennesima dentro uno spogliatoio che da mesi è una polveriera mascherata da «bella atmosfera», come qualcuno in seno al club aveva provato a raccontare nei giorni scorsi.
Sul dischetto è andato Mandragora, sì, ma solo dopo una scenetta da campetto di periferia che è subito balzata agli occhio e che ha avuto strascichi fino a ieri: Kean furioso perché voleva calciare, Fagioli a metter pace, Ranieri a tirarlo via quasi di peso e Gudmundsson – il rigorista designato, da sempre – del tutto disinteressato da tutt’altra parte. Il gol è arrivato (inutile, poi, ai fini del risultato) ma a colpire è stata soprattutto l’immagine che si è generata. E che ha raccontato molto più di qualsiasi dichiarazione di circostanza.
Così, tra ricostruzioni che non coincidono, gerarchie ballerine e giocatori pronti a contraddirsi, resta una sensazione netta: in casa Fiorentina ognuno rema per conto proprio. E il rigore del Mapei ha lasciato in eredità una domanda pesante: chi è in grado di dare direttive a questa squadra? Lo riporta La Nazione.
