La vita è un gioco d’incastri, figuriamoci il calcio che intanto un gioco lo è per definizione. Questo per dire che messo di fronte alle parole di Rocco Commisso («Se la stagione non finisce, Iachini resta; se si ricomincia, vediamo come vanno le dodici partite che rimangono»: in sintesi è il concetto espresso dal presidente in queste settimane di stop), Beppe Iachini non s’è smosso più di tanto, un po’ per il suo modo di essere più realista del re e molto perché da calciatore prima e da allenatore dopo quello che ha ottenuto se l’è sudato e conquistato. A maggior ragione la conferma sulla panchina viola.
Le basi Iachini le ha gettate, questo è altrettanto innegabile, perché non è un mistero che il lavoro svolto finora abbia ottenuto il consenso di Commisso e degli altri dirigenti, nonché – fattore non meno indicativo – quello dei calciatori. E non si parla esclusivamente di risultati sotto forma di punti. Si parla anche di solidità e concretezza date alla squadra proprio per invertire una tendenza pericolosa; di senso di appartenenza trasmesso come valore imprescindibile per migliorare il rendimento in campo; di scelte fatte sui singoli con responsabilità condivise, a tutto beneficio del rapporto instaurato; di motivare quei calciatori che non riuscivano ad esprimersi per quelle che sono le loro vere qualità.
Tutto ciò tornerà ovviamente in discussione alla ripresa del campionato e le 12 gare ravvicinate, “inedite”, complicate, che restano da disputare saranno il vero spartiacque per delineare il presente e il futuro della Fiorentina. Nel primo caso, l’obiettivo si chiama salvezza da mettere al sicuro in tempi brevi; nel secondo, è dimostrare di essere all’altezza di far parte di una Fiorentina che Commisso vuole ambiziosa e protagonista. Vale per tutti e per Iachini forse un po’ di più. Sapeva e sa anche questo.
Corrieredellosport.it