«Sogno una favola tipo Leicester. Negli occhi di tanti tifosi della Fiorentina leggo la sofferenza di chi non ha mai visto la squadra del cuore alzare un trofeo. Sarei disposto a qualsiasi sacrificio pur di regalare un sorriso alla città». Non lo chiamano a caso il «sindaco viola». Borja Valero è l’uomo chiave del progetto tattico di Paulo Sousa.
In questa Fiorentina può coprire tre ruoli: regista di centrocampo, mezzala, trequartista. «L’anno scorso mi sono divertito giocando dietro Kalinic. Ho servito assist, ho segnato dei gol. Ma deciderà l’allenatore». Che, intanto, è ben felice di averlo ancora in rosa dopo le tante voci di mercato. Spalletti lo avrebbe voluto alla Roma al posto di Pjanic e Montella lo ha corteggiato con progetti dolci come il miele. L’aeroplanino aveva bisogno del maestro spagnolo per spiegare ai giocatori del Milan il nuovo progetto tattico rossonero. Nel segno della qualità e del possesso palla. «Faccio un grande in bocca al lupo a Montella. Con lui sono diventato un calciatore importante. Milan e Inter stavolta potranno investire tanti soldi sul mercato. Penso che alla fine per noi sarà difficile arrivare prima di loro. Tutte queste attenzioni mi riempiono d’orgoglio ma io ho scelto Firenze e spero di chiudere la carriera con la maglia viola».
Pepito deve restare. È dal primo giorno di ritiro che Borja sta lavorando ai fianchi l’amico Rossi per convincerlo a restare. «Pepito può aiutare tanto questa Fiorentina, lo ha già dimostrato. La sua classe non è in discussione. Spero che possa svolgere una buona preparazione. Lo vedo determinato, sereno. Deve restare». Sarà decisivo il rapporto con Sousa. Magari potrebbe essere proprio il «sindaco viola» a convincere Pepito e Paulo a lasciarsi alle spalle le incomprensioni del passato e a ripartire insieme. «Paulo Sousa è molto carico. Proprio come lo era anche l’anno scorso. Certo, per il momento questo è un ritiro strano. A causa dell’Europeo e della Coppa America al momento siamo pochi. Sta iniziando una stagione dura ma noi non abbiamo paura di nessuno».
La Gazzetta dello Sport