Giocare 45′ e dimenticarsi la seconda frazione, venendo sommersi dai fischi: non una roba da poco, se sei in Serie A. Sommiamoci pure che al Franchi non vinci più (con ieri siamo al quarto pareggio di fila tra le mura amiche) ed il boccone indigesto è servito. Ed è normale che la gente – i tifosi, in particolare – faccia una fatica maledetta a deglutirlo. I fischi di ieri, dopo una gara che lascia ancora una volta sulla punta delle labbra il sapore acre dell’occasione persa, si è chiusa – giustamente – con diverse bordate di fischi da parte del pubblico.
Nulla di strano, se consideriamo che il palato dei fiorentini è fine per inclinazione genetica (tutta quella bellezza abitua male) e che la squadra di Sousa è ancora lontana cugina di terzo grado di quella che rifulgeva internamente, l’anno scorso. Oggi, invece, viaggiamo ad intermittenza: una sì, una nì, una no. E siccome si dà il caso che il tifoso fiorentino ami il club, ma possieda anche il raziocinio necessario per sollevare critiche costruttive, ecco che i fischi ci stanno tutti.
Non ci sta, invece, per nulla, la reazione sdegnata dei giocatori: Berna e Astori che a fine gara parlano di contestazione immotivata e ricordano come la squadra vada sostenuta a prescindere, potevano certamente aggiustare il tiro delle loro esternazioni. Perché se è vero l’ultimo periodo – che la viola si ama e si sostiene a prescindere – non è che questo debba significare l’aborto di ogni critica costruttiva. E’ proprio da esse, dalla voglia di non accontentarsi mai, che si costruisce una mentalità incline alla reazione, alla continua ricerca del superamento del limite. Viceversa, ci si rannicchia nel “Ma tanto i veri tifosi la sostengono comunque”. Vero. Ma il tifoso, quello autentico, ha l’onere e l’onore di alzare la voce quando le cose non vanno, per rimettere l’auto in carreggiata prima che sbandi definitivamente.